#Losapevamotutte, l’hashtag circola da diverse ore sui social. Lo sapevamo tutte fin da quando abbiamo appreso della scomparsa di Giulia Tramontano, 29enne di Senago, incinta al settimo mese di un bambino al quale aveva già dato un nome, Thiago. Lo sapevamo tutte che Giulia non fosse più viva e che ad averla assassinata fosse stato proprio il compagno, Alessandro Impagnatiello, che ne aveva denunciato la scomparsa.

Quello di Giulia è il 47esimo femminicidio secondo alcuni siti che tengono viva la memoria delle donne uccise nelle relazioni di intimità. Giulia è stata uccisa perché era diventato un intralcio alla seconda vita del compagno che aveva una relazione con una collega. O forse è stata uccisa per aver smascherato le sue menzogne e averlo messo di fronte alle sue meschinità.

Passano le ore e il contesto in cui è maturato il femminicidio si completa con un lancio d’Ansa: “Giulia aveva già sopportato atteggiamenti violenti”. I femminicidi sono sempre atti finali ed estremi di una serie di violenze psicologiche o fisiche commesse nel contesto di relazioni asimmetriche. La Procura di Milano infatti parla di premeditazione.

I crimini contro le donne si perpetuano e restano stabili nel tempo, mentre gli omicidi calano. Ancora non abbiamo eliminato le cause della violenza contro le donne e investito adeguatamente nella prevenzione. Da questo punto di vista non si possono condividere le affermazioni di Letizia Mannella, procuratrice aggiunta del Tribunale di Milano, quando dice: “A noi donne insegna che non dobbiamo andare ad un ultimo incontro di spiegazione”. Parole pronunciate in buona fede ma tremendamente maldestre là dove indicano la violenza maschile come “l’insegnamento” che le donne dovrebbero apprendere per capire cosa può accadere se non sono abbastanza brave, consapevoli, prudenti, scafate da evitare di saltare sul campo minato della violenza maschile, mentre le mine restano a dettare le asimmetrie e le gerarchie di potere tra uomini e donne. La prevenzione non può essere fatta con raccomandazioni e vademecum che suggeriscono alle donne di non andare all’ultimo incontro chiarificatore o di evitare strade buie.

Persiste una grande rimozione, un non detto, ed è il fenomeno sociale della violenza maschile che si esprime sia dentro che fuori le relazioni di intimità.

I dati parlano chiaro: in Italia (e non solo), gli uomini sono responsabili della maggior parte dei comportamenti antisociali, e rappresentano l’82,41% degli autori dei 500mila autori di reati commessi nel 2018. Il femminicidio in ogni sua manifestazione si perpetua di generazione in generazione col culto della violenza, estetizzata ed erotizzata nel mito della virilità. Gli uomini non nascono più violenti delle donne, lo diventano, e se si vuole investire in un futuro non violento si deve fare una azione di cambiamento culturale che incida profondamente sui modelli di identità maschile, a partire dalla sessualità e dalla relazione con le donne.

Il momento non è affatto favorevole, perché il 10 maggio scorso, al Parlamento europeo, i partiti di governo, Lega e Fratelli d’Italia, si sono astenuti sul voto per la ratifica della Convenzione di Istanbul che prescrive interventi di prevenzione della violenza. Le eurodeputate Susanna Ceccardi e Alessia Basso hanno addirittura votato contro.

L’astensione dei partiti di governo sul voto del 10 maggio pesa come un macigno oggi, mentre si pensa a Giulia Tramontano, a Thiago, a Pierpaola Romano, 48esima vittima di femminicidio, assassinata a Roma alle 11 di questa mattina da Massimiliano Carpineti. Entrambi poliziotti.

@nadiesdaa

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