Siamo alle solite. Le compagnie telefoniche sono tornate all’attacco (onestamente non hanno mai mollato la presa) e, spalle al muro, per l’ennesima volta il governo di turno tenta di innalzare i limiti soglia d’irradiazione elettromagnetica. Provano a farlo da anni, da oltre un decennio. Parzialmente c’era riuscito Mario Monti nel 2012, adesso ci prova Giorgia Meloni in favore del 5G (che, sia chiaro, c’entra poco o nulla con la telefonia mobile ma molto più con l’Internet delle cose e Big Data): più elettrosmog per tutti, più antenne, più irraggiamento wireless, più pericoli ambientali e rischi sanitari, col fondo naturale terrestre stravolto già un miliardo di miliardi di volte da non sicure irradiazioni artificiali pulsate.

Il tentativo d’abrogazione e superamento di una delle norme più cautelative al mondo in tema d’inquinamento invisibile da radiofrequenze non ionizzanti (possibili agenti cancerogeni secondo l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) è nella bozza del decreto legge Telecomunicazioni, proposto dal ministro Urso (imprese e made in Italy) di concerto con Pichetto Fratin (ambiente e sicurezza energetica) e Schillaci (salute). “Un innalzamento degli attuali limiti fissati a 6V/m, ad esempio 30V/m, garantirebbe il miglioramento della qualità del servizio (…) rassicurando “i cittadini più timorosi e venire incontro alle loro giuste preoccupazioni”.

Oltre che illogico, ci troviamo davanti ad un passaggio a dir poco inquietante, l’apoteosi antiscientifica. Perché? Perché il testo conferma preoccupazione e allarme della popolazione, visti gli aggiornamenti in letteratura biomedica e le sentenze di tribunale in favore di danneggiati, ma siccome in un modo o nell’altro bisogna assecondare i desiderata della lobby delle Telco, altrimenti costretta a sborsare 4 miliardi per costruire circa 30.000 nuove stazioni radio base, in un modo o nell’altro bisogna innalzare il limite soglia elettromagnetico.

Il ragionamento, più o meno, è questo. Ma innalzare l’elettrosmog di quanto? Dalla media nelle 24 ore di 6 V/m fino a 20 V/m? Oppure 30 V/m? O fino a 60 V/m? Chi la spara più grossa? In fondo, risaputi i timori del ministro Giorgetti (suoi i dubbi già negli esecutivi Conte e Draghi), l’esecutivo è alla ricerca di una via di mezzo cerchiobottista, all’italiana, dicendoci che l’Europa si attesta nella media dei 61 V/m (allora 30 V/m sarebbe un buon compromesso), dimenticando però di chiarire che:

1) i limiti indicati dalla Commissione sono valori da non superare e non certo da raggiungere;

2) i limiti si basano essenzialmente sui soli effetti biologici termici acuti e non sugli effetti biologici e ambientali cronici e fortemente emergenti, dovuti alle esposizioni (il cancro è solo la punta dell’iceberg di una serie di effetti avversi anche molto gravi);

3) gli invocati 61 V/m (altro che limiti europei!) in realtà sono solo in Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna; a differenza di Svizzera, Italia, Austria, Belgio, Turchia e i Paesi dell’est europeo – Bulgaria, Polonia, Croazia, Slovenia – nei quali vigono limiti molto più stringenti e protettivi;

4) l’ente a garanzia della nostra salute non è pubblico, né medico ma privato e composto per lo più da fisici e ingegneri, si chiama ICRNIP, cioè Commissione Internazionale per la Protezione delle Radiazioni non ionizzanti, in passato già al centro di numerosi scandali per conflitti d’interessi e legami con l’industria, a detta degli esperti auditi a Bruxelles “non adeguato” alla protezione pubblica, fonte di una documentazione parziale e non complessiva della letteratura biomedica disponibile.

“Le nuove linee guida ICNIRP sono state fortemente influenzate dalle grandi società di telecomunicazioni e persino dai militari degli Stati Uniti,” chiarisce poi un dossier dei Verdi nell’europarlamento.

La manovra del governo Meloni, quindi, ci offre la possibilità di attualizzare l’appello dello scorso anno lanciato da alcuni scienziati indipendenti di mezzo mondo a Mario Draghi. Anche in quella occasione si provò a stralciare la norma cautelativa, innalzando l’elettrosmog, ma il tentativo fallì miseramente: “Sarebbe una mossa retrograda e poco saggia per aumentare di 100 volte i limiti di esposizione di radiofrequenze preveggenti italiani per raggiungere i limiti di esposizione inadeguati raccomandati dall’ICNIRP.”

E ancora: “L’Italia ha guidato il mondo negli ultimi 20 anni nel dimostrare che i loro limiti di esposizione per la protezione della salute più bassi e protettivi per le radiofrequenze possono essere raggiunti dall’industria italiana delle telecomunicazioni senza ostacoli economici o tecnici significativi alla loro espansione nei sistemi 4 e 5G”.

Certo, pare che oggi Meloni non punti ad aumentare per un valore pari a 100, ma a circa 50 volte l’elettrosmog nell’aria pubblica. E il pericolo c’è lo stesso, serio, grave, capito peraltro che dimezzandolo nello scientismo all’amatriciana si pensa addirittura di salvare capre e cavoli. Mischiando le carte in tavola.

La strada da percorrere è però una sola: mantenere i valori di attenzione cautelativi per i valori di campo elettrico di 6 V/m è il primo passo per tutelare popolazione e ambiente (non certo interessi privati) attraverso una riforma indirizzata alla minimizzazione dell’impatto, proprio come indicato nei Report del Bioinitiative Group, dal Parlamento Europeo nella Risoluzione del 2009 e dall’Assemblea del Consiglio d’Europa con la Risoluzione n° 1815 del 2011, volta ad un abbassamento dei limiti di legge a 0,6 V/m nell’immediato e a 0,2 V/m sul lungo termine.

Nelle Raccomandazioni dell’Unione Europea si legge: “Gli Stati membri hanno facoltà, ai sensi del Trattato, di fornire un livello di protezione più elevato di quello di cui alla presente Raccomandazione”. Ma la presidente Giorgia Meloni, il sottosegretario all’innovazione tecnologica Alessio Butti, i ministri Adolfo Urso, Gilberto Pichetto Fratin e Orazio Schillaci lo sanno?

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