Un patteggiamento a 3 anni da scontare svolgendo lavori socialmente utili. È l’epilogo del processo a carico di Roberto Di Seri, il 43enne sardo che il 9 giugno 2022 ad Alghero sferrò un pugno a Roberto Delrio al culmine di una lite per futili motivi, provocandogli una caduta a cui seguì la morte dopo sette giorni di coma. L’uomo è stato imputato prima per omicidio volontario e a seguito dell’udienza preliminare il processo è stato incardinato davanti alla Corte d’assise. Successivamente il reato è stato derubricato a preterintenzionale (ovvero quando dall’atto deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto, ndr) e i suoi legali hanno chiesto il patteggiamento. L’11 maggio la procura di Sassari ha ritenuto congrua la proposta della difesa e la ratifica del giudice per l’udienza preliminare è attesa per il 6 luglio, data entro la quale Di Seri dovrà indicare l’ente pubblico dove intende scontare la pena alternativa.
La dinamica dei fatti è stata ricostruita dalla Procura anche grazie alla testimonianza del figlio 17enne della vittima (15enne all’epoca dei fatti), che era presente al litigio e ha assistito alla morte del padre dopo aver tentato invano di difenderlo. Quel giorno i due si trovavano in auto in direzione del lungomare, quando Delrio a un incrocio con scarsa visibilità non ha dato la precedenza alla moto con a bordo Di Seri e la compagna. Ne è nato un diverbio sul posto, con parolacce e insulti, al termine del quale Delrio ha inseguito il centauro fino alla fine della strada, poco distante dall’appartamento della coppia. A quel punto il litigio è proseguito in maniera più accesa e agli insulti si sono aggiunti urla e strattoni, anche al figlio minore accorso per sedare la lite. “Di Seri se ne stava andando, ma quando mio marito ha minacciato di denunciarlo lui è tornato indietro e gli ha dato un pugno in faccia. Roberto è caduto, ha battuto la testa ed è entrato subito in coma”, racconta la moglie Sonia Imperato.
La vedova non si dà pace all’idea che l’omicida di suo marito possa chiudere i conti con la giustizia con una pena così blanda. E smentisce, come riportato da alcuni giornali, che sia stato lui a prestare i primi soccorsi. “Lui è scappato, a chiamarlo sono stati gli operai che si trovavano lì vicino, ma è stato mio figlio ad aiutare il papà. Quando l’ho trovato aveva ancora le braccia piene di sangue”, il suo racconto. Di Seri ha anche liquidato 30mila euro alla famiglia della vittima insieme a una lettera di scuse, ma la donna rifiuta di incassare l’assegno. Con il patteggiamento del resto sfuma anche la possibilità per lei e il figlio minore di ottenere un risarcimento in sede civile. Ora si è rivolta al ministro della Giustizia Carlo Nordio, alla premier Giorgia Meloni e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “È vergognoso che abbiano trattato l’omicidio di mio marito come il furto di una mela al supermercato. Come cittadina non avrei accettato una cosa del genere nemmeno se fosse capitato a un altro”, commenta. L’imputato è sempre rimasto a piede libero e prima di essere messo alla prova non trascorrerà nemmeno una notte in carcere. Come si è arrivati a questo lo spiega l’avvocato Stefano Carboni, che assiste la famiglia Delrio. Per l’omicidio preterintenzionale la pena minima è di 10 anni, ma – dichiara il legale – “il pm ha ritenuto prevalenti le attenuanti rispetto alle aggravanti, che erano i futili motivi e presenza del minore”. Di Seri infatti è incensurato. “Una persona con due piantine di marijuana in appartamento finisce in custodia cautelare fino a 30 giorni, in questo caso abbiamo un omicidio e nemmeno un giorno in cella”, commenta il legale, che ora chiede una presa di posizione al procuratore generale presso la Cassazione. “Ci sono tutti i presupposti per un’ispezione ministeriale”.