Oltre il 67% delle aziende controllate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro lo scorso anno sono risultate irregolari. In estrema sintesi, questo è il quadro che emerge dal Rapporto annuale delle attività di tutela e vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale relativo all’anno 2022 diffuso dall’Inl. Su 62.339 ispezioni realizzate su tutto il territorio italiano tra gennaio e dicembre 2022, sono state riscontrate 41.533 aziende irregolari. Le 10.577 ispezioni in materia di vigilanza previdenziale hanno rilevato un tasso di irregolarità dell’83% e le 9.267 in materia assicurativa addirittura del 94%. Delle 82.183 ispezioni totali, che comprendono dunque l’attività congiunta di Ispettorato Nazionale del Lavoro, Inps e Inail, le irregolarità segnalate ammontano a 59.023 casi per un’incidenza del 72% e un totale di 314.069 lavoratori irregolari nel complesso. La fotografia scattata dagli organi di vigilanza fornisce dati non troppo dissimili da quelli dei precedenti rapporti annuali, anzi conferma una tendenza già in essere da tempo. Con un problema di irregolarità diffusa e sistematica in alcuni settori che presentano tassi di irregolarità spaventosi: agricoltura, edilizia e turismo.
“I settori dove emerge maggiormente la presenza di irregolarità sono quelli che abbiamo ispezionato di più perché maggiormente a rischio, una scelta strategica di cui mi assumo la responsabilità. I risultati, però, confermano che avevo ragione”, spiega a ilfattoquotidiano.it Bruno Giordano, magistrato e a capo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro dall’agosto 2021 al dicembre 2022. “Le cause che determinano questo fenomeno in agricoltura, edilizia e turismo sono diverse e non omologabili, ma il minimo comune denominatore rimane l’altissima percentuale di irregolarità. La mia considerazione è che laddove si fanno controlli, e si fanno massicciamente, si trova più lavoro nero e irregolare. Il tasso di irregolarità in questi settori è tale da poter affermare che la regola nei settori trainanti dell’economia è non essere in regola. Il lavoro nero è così diffuso che costituisce ormai un terzo dell’economia sommersa. Vuol dire che l’evasione contributiva, fiscale e assicurativa è così diffusa da essere anche causa degli infortuni sul lavoro, perché l’origine eziologica di questi fenomeni – che guarda caso sono più numerosi proprio nei settori che presentano le maggiori percentuali irregolarità – è direttamente proporzionale alla violazione delle regole”.
Tre sono i settori che presentano le maggiori storture, ma a detenere saldamente il primato di questa classifica poco edificante sono i servizi di alloggio e ristorazione con il 76,61% di irregolarità – riscontrate dal punto di vista degli orari di lavoro, dell’applicazione del contratto collettivo, della contribuzione, di sicurezza, del lavoro totalmente in nero e anche del lavoro minorile – in praticamente la totalità delle Regioni d’Italia. Il turismo, da molti definito e considerato “il petrolio dell’Italia”, nonché il settore che più di tutti lamenta difficoltà nel trovare personale, secondo i dati dell’autorità preposta alla vigilanza dei rapporti di lavoro è quello che presenta le maggiori storture. Un paradosso.
“Chi non trova manodopera non la paga secondo i contratti collettivi, perché se le persone vengono pagate bene il lavoro lo accettano”, commenta l’ex direttore dell’Ispettorato Nazionale del lavoro. “Oggi si stanno verificando due fenomeni: il primo è quello delle cosiddette ‘grandi dimissioni’ e il secondo è quello di non accettare più lavori a determinate condizioni. I giovani stanno avendo uno scatto di dignità e di orgoglio. Hanno bisogno di lavorare ma non sono disposti ad accettare qualsiasi condizione lavorativa, questo è un colpo di reni che spiega perché molte offerte vengano disertate”.
Se da un lato gli altissimi tassi di irregolarità segnalano l’esistenza di numerosi datori di lavoro che offrono impieghi non in regola, dall’altro lato è evidente che ci sono persone costrette ad accettare queste condizioni e questo per Giordano ha molto più a che fare con le mancanze dello stato sociale che con l’assenza di normative e controlli: “Lo stato sociale è fatto di controlli ma anche di opportunità e se queste non sono pulite e regolari, qualcuno finisce per essere costretto ad accettare l’illegalità. Il rapporto di forza tra l’imprenditore che offre lavoro e chi accetta il lavoro non è il medesimo, il datore di lavoro è sempre più forte del lavoratore. Stato sociale vuol dire regole, controlli, vigilanza e presenza delle parti sociali, che sono i sindacati e le associazioni di categoria. Quando noi diamo spazio al lavoro nero chi ne fa le spese non è solo il lavoratore, ma anche i diritti sindacali, sociali, previdenziali e assicurativi. Il lavoro nero è un furto allo stato sociale e dunque a tutti noi che sosteniamo la spesa pubblica ed è un evento sentinella che fa emergere un’antenna tutto un’evasione sotterranea – fiscale, assicurativa, contributiva e anche retributiva, visto che è pagato molto meno del lavoro regolare”.
Dato il quadro a tinte fosche dipinto dall’ultimo rapporto dell’Ispettorato, la domanda sorge spontanea: quest’altissima incidenza di irregolarità è dovuta alla mancanza di normative adeguate al contrasto di questo fenomeno? Per l’ex capo dell’ente la risposta è no: “Le norme ci sono, ma vanno applicate. Manca la volontà di applicarle ma soprattutto di farle applicare a tutti i soggetti in campo. Al di là delle norme penali, esistono dei principi che oggi purtroppo non permeano l’etica dell’impresa. E aggiungo: nella piccola e media impresa che tutti difendono. I lavoratori in nero sono nelle piccole realtà dove l’imprenditore può tirare fuori dal portafoglio 50 euro e pagare la giornata con quanto ha recuperato dall’evasione fiscale”.
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