Prima troppa acqua, ora troppo caldo. E mentre ci sono campi ancora interamente sommersi, con le aziende agricole che impiegheranno settimane per liberarli dall’acqua, altre colture stanno già soffrendo la sete. Dopo l’alluvione, l’agricoltura dell’Emilia Romagna sta vivendo uno dei paradossi che sono la conseguenza della crisi climatica. Nel Ravennate, per esempio, da una settimana le temperature si sono rialzate, con picchi che sfiorano i trenta gradi. Ma al posto di concorrere all’asciugatura dei campi, il sole accelera la marcescenza delle semine che sono state travolte dall’acqua dei torrenti esondati e causa ulteriori danni alle piante che sono sopravvissute. “Il caldo che brucia e l’umidità rendono quasi bollente l’acqua dei ristagni – spiega Lino Bacchilega, direttore della cooperativa agricola braccianti (Cab) “Ter.ra” –. Così rischiamo di perdere anche le piante che si sono salvate. È un fenomeno che non abbiamo mai visto”.

Intere coltivazioni nere e marcescenti – La cooperativa di Bacchilega gestisce 2100 ettari di campi nelle frazioni di Ravenna. Ne sono finiti sott’acqua seicento, la maggior parte dei quali a Piangipane. La località è diventata nota nei giorni più difficili dell’alluvione quando la prefettura di Ravenna, con il consenso della Cab, ha deciso di tagliare gli argini di uno dei canali per evitare che il capoluogo subisse un’inondazione ancora più grave di quella avvenuta tra il 15 e il 16 maggio scorsi. Oggi una parte di quell’enorme sversamento è defluito via dai campi. Ma i segni dell’alluvione si possono notare ancora nelle piante: intere coltivazioni sono nere e stanno marcendo. Guardando dal cavalcavia che passa sopra i terreni nel quartiere di Fornace Zarattini, si possono notare i campi di coriandolo divisi in due: gli ettari salvi hanno le piante con il fiore bianco, mentre in quelli dove l’acqua ha colpito più duramente il coriandolo è di colore violaceo. Scendendo lungo il cavalcavia verso il campo si comincia a sentire un odore cattivo che peggiora nelle giornate di grande caldo. Dall’altra parte della strada ci sarebbero dovute essere altre semine: “La bietola è stata spazzata via e il granoturco sta diventando anche lui nero. Vedremo se riuscirà ad asciugarsi nelle prossime settimane – racconta Bacchilega –. Per ora ho calcolato danni mediamente di 2mila euro a ettaro, che rischiano di aumentare se le piante bagnate non si salvano”.

Il paradosso – Costi a cui si aggiungeranno quelli per il ripristino del terreno, che sarà molto difficile nei campi in cui l’acqua ha depositato i detriti. Dove non c’è il fango, l’esondazione ha lasciato sabbia, argilla e limo. Strati alti centimetri e durissimi che sotto il sole si surriscaldano e “diventano come delle fornaci che soffocano le radici delle piante”. Ma il caldo sta diventando un problema anche per le colture che non sono state toccate dall’alluvione. A nemmeno un chilometro di distanza dalle distese marcescenti di coriandolo e granoturco, il pomodoro appena trapiantato ha già bisogno di acqua in più. “Le forti piogge dei giorni scorsi non sono state acqua ‘buona’ – continua il direttore della Cab – perché il terreno si è inzuppato senza trattenere l’acqua. È un paradosso. Abbiamo perso piante per la troppa acqua ma le perdiamo anche perché l’acqua comincia a mancare – conclude Bacchilega –. Nelle zone alluvionate l’agricoltura ha bisogno che l’acqua vada via, in quelle intatte ha bisogno che arrivi”.

C’è chi è ancora sott’acqua – La Cab Massari di Conselice, a nemmeno quaranta chilometri da Piangipane, ha invece il problema opposto: gran parte dei suoi 2450 ettari di terreni sono ancora sommersi. Al posto dei campi di barbabietole ci sono dei laghi. La violenza dell’acqua ha spazzato via interi vigneti, dove le piante state ridotte a sottili tralci nerastri. I terreni della cooperativa sono stati devastati dal Sillaro che ha rotto gli argini la prima volta all’inizio di maggio e la seconda, più grave, il 16 maggio. L’acqua è arrivata fino alle stalle dove vivono trecento tra vacche e vitelli da latte che sono stati salvati dagli agricoltori, mentre dall’agriturismo – allagato anche quello – lo staff evacuava quaranta ospiti. Anche alla Massari si aspetta di vedere se le piante si riprenderanno prima di avere un bilancio definitivo delle perdite. “Un danno totale – dice il direttore della cooperativa Giampietro Sabbatani –. Solo di raccolto ho perso 7 milioni di euro”. La Cab dà lavoro a novanta famiglie, che ora sperano nella possibilità di accedere alla cassa d’integrazione straordinaria perché la prospettiva è di pensare già alla prossima annata: “Quando riusciremo ad asciugare i campi, a togliere i detriti e a ripristinare i terreni sarà già luglio – spiega Sabbatani – e gran parte delle nostre colture non si potranno più fare”.

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