Esattamente 60 anni fa, il 3 giugno 1963, moriva san Giovanni XXIII. Il Papa buono, come fu subito ribattezzato, in poco meno di cinque anni di pontificato, riuscì a cambiare in modo radicale e definitivo il volto della Chiesa cattolica. L’intuizione del Concilio Ecumenico Vaticano II fu geniale e coraggiosa, soprattutto per un uomo che fu eletto al pontificato sulla soglia dei 77 anni. Roncalli era convinto che l’istituzione ecclesiale avesse urgentemente bisogno di un rinnovamento nella continuità, entrando così finalmente in dialogo con il mondo contemporaneo. Convinzione che espresse con grande chiarezza nel celebre discorso di apertura del Concilio, l’11 ottobre 1962, Gaudet Mater Ecclesia.
“C’è inoltre – affermò san Giovanni XXIII in quell’occasione – un’altra cosa, venerabili fratelli, che è utile proporre alla vostra considerazione sull’argomento. Ad aumentare la santa letizia che in quest’ora solenne pervade i nostri animi, ci sia cioè permesso osservare davanti a questa grandiosa assemblea che l’apertura di questo Concilio Ecumenico cade proprio in circostanze favorevoli di tempo. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.
Sono parole profetiche che all’epoca non furono per nulla comprese e ancor meno apprezzate, ma che, con il trascorrere dei decenni, sono risultate un lascito davvero prezioso del Papa buono alla Chiesa cattolica del terzo millennio cristiano. Un lascito ulteriore Roncalli volle darlo al mondo nella sua enciclica-testamento, Pacem in terris, pubblicata a poco meno di due mesi dalla sua morte, l’11 aprile 1963. Un testo ugualmente profetico, come ha ricordato recentemente Papa Francesco ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: “Negli occhi del ‘Papa buono’ era ancora vivo il pericolo di una guerra nucleare, provocato nell’ottobre 1962 dalla cosiddetta crisi dei missili di Cuba. L’umanità era a un passo dal proprio annientamento, se non si fosse riusciti a far prevalere il dialogo, consapevoli degli effetti distruttivi delle armi atomiche”.
Bergoglio, infatti, ha costatato che “purtroppo, ancora oggi la minaccia nucleare viene evocata, gettando il mondo nella paura e nell’angoscia. Non posso che ribadire in questa sede che il possesso di armi atomiche è immorale poiché – come osservava Giovanni XXIII – ‘se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico’. Sotto la minaccia di armi nucleari – ha sottolineato Francesco – siamo tutti sempre perdenti, tutti!”.
Monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, ha offerto una intelligente lettura dell’ultima enciclica di Roncalli nel suo volume Pacem in terris (Edizioni Viverein). “Con questo documento, – scrive il sacerdote – rivolto per la prima volta ‘a tutti gli uomini di buona volontà’, Papa Giovanni si proponeva di esporre il bene della pace, analizzando e denunciando i mali che la contrastano in campo socio-politico, ambientale, economico-finanziario, alimentare, occupazionale, familiare. La casa della pace si fonda su quattro pilastri: la verità, la giustizia, la solidarietà operante e la libertà. Promuovendo questi principi, l’azione della Chiesa non ha un carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone. Ricordando a tutti che la pace non è un sogno, né utopia, ma è cosa possibile”.
È evidente a tutti che la guerra in Ucraina, purtroppo, ha sottolineato nuovamente quanto quell’insegnamento di Roncalli sia di grande attualità. Lo ricorda benissimo monsignor Sapienza: “La causa della pace è tuttora in pericolo. Giovanni XXIII e, dopo di lui, i suoi successori, non cessano di invitare tutte le parti in causa a fermarsi, finché c’è tempo. Il mondo aspetta e chiede pace; il mondo ha bisogno di pace; il mondo esige pace, vera, stabile, duratura, dopo tutte le sofferenze di tante guerre che continuano a sconvolgere le vite di tante popolazioni. La pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti ed universali valori della vita: la verità, la giustizia, la libertà, l’amore”. Lo evidenziava recentemente Francesco, parlando proprio della guerra in Europa: “In questa fase storica i pericoli sono tanti; ma, mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?”. Domanda alla quale tutti, come ha sottolineato più volte Bergoglio, sono chiamati a rispondere.