Consolidare la rete di associazioni che si occupa di lavoro sessuale e porsi come soggetto collettivo in grado di intervenire nel dibattito pubblico: sono gli obiettivi dell’iniziativa in corso a Bologna sotto il titolo di Sex workers speak out. Contro la criminalizzazione, per i diritti.
Organizzato da un gruppo di associazioni di sex workers (Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, S.W.I.R., Kinky Girls, MIT Movimento Identità Trans, Ombre Rosse Collettivo Transfemminista di Sex worker e Alleat3, SWIPE Sex Workers Intersectional Peer Education) l’evento si articola in due fasi: la prima si è svolta il 2 giugno, a porte chiuse, ed è stata organizzata in assemblee e tavoli di lavoro per consentire l’interazione con l’obiettivo di mettere in cantiere un’azione politica duratura. Durante la giornata, riservata a sex worker e alleate strette, si è parlato di lavoro (diritti, tasse, contrattazione), accesso ai diritti fondamentali (salute, casa, genitorialità, rapporto con istituzioni/servizi sociali, documenti), come fare rete e decostruire le gerarchie (isolamento, violenza, sicurezza personale, questione carcere). La seconda fase, convegnistica pubblica, si svolgerà sabato 3 giugno, presso la prestigiosa l’Auditorium Enzo Biagi della Sala Borsa (piazza del Nettuno, 3) e prevede interventi di associazioni di sex workers accanto ad esperti ed esperte. Il convegno si potrà seguire in streaming dall’account instagram dell’associazione SWIPE.
QUALE MODELLO LEGISLATIVO – Isolamento che, in Italia, non è indotto solo dallo stigma ma anche dal contesto legislativo. In base alla legge Merlin, infatti, ad essere punito non è il lavoro sessuale ma il suo favoreggiamento. Un approccio che mira a colpire lo sfruttamento organizzato della prostituzione, ma che sul terreno pratico si sta rivelando un’arma a doppio taglio che può danneggiare le stesse sex worker. “Due persone che svolgono lavoro sessuale, per esempio, non possono condividere l’appartamento perché potrebbero essere accusate di favoreggiamento reciproco – spiega Elettra. – Potrebbe essere considerato tale anche aiutarsi o aprire un sito che dia esplicitamente consigli su come fare sex work. Non deve esserci per forza un vantaggio monetario per ricadere sotto la fattispecie di favoreggiamento”.
Uno degli obiettivi del Congresso è delineare una possibile strada di cambiamento. “Il nostro modello legislativo di riferimento non è la legalizzazione ma la decriminalizzazione, sull’esempio della Nuova Zelanda, di alcuni stati australiani e, in Europa, del Belgio. Abbiamo visto che legalizzando, dunque introducendo nuove norme, si va a creare un interesse di profitto che poi è molto difficile da sradicare (come nel caso olandese). Durante il congresso inizieremo a parlare di che cosa significherebbe decriminalizzare in Italia. Teoricamente vorrebbe dire che diventerebbe un lavoro come un altro, ma in pratica ci sono ancora molti problemi da affrontare”.
PER UNA EMERSIONE DEL LAVORO SESSUALE – La realtà del lavoro sessuale è molto sfaccettata, spiega Elettra. “Ci sono molte persone che lo fanno come secondo lavoro, per pagarsi gli studi, o come fase transitoria, e ci sono tantissimi modi di fare sex work. Lo stigma interiorizzato si manifesta in quella che chiamiamo mignottarchia (dall’inglese whorearchy, gerarchia tra prostitute), per cui, più le sex worker aderiscono a ciò che è considerato socialmente accettabile, ovvero più distante dal sesso con contatto fisico, meno si sentono prostitute. Come le escort, per esempio, che si definiscono imprenditrici. Inoltre, molteplici sono le pratiche riconducibili sotto questo ombrello: bdsm e sadomaso, incontri virtuali, creazione di contenuti erotici (come su onlyfans), lavoro in strada, incontri in albergo, in casa, telefono erotico, sono alcuni esempi ad indicare una grande varietà di situazioni. Anche per questo, spiega Elettra, “parliamo di sex work: un termine ombrello che ci racchiude tutte, al di là delle finte gerarchie della rispettabilità”. La strada della decriminalizzazione , per le associazioni organizzatrici del Congresso, è la più efficace per affermare i diritti delle sex worker. Che cosa voglia dire in Italia, dove “un lavoro come un altro non esiste”, nel senso che ogni lavoro rientra in una categoria con uno specifico inquadramento fiscale e contrattuale, è tutto da capire. Ed è, infatti, uno dei temi del Congresso.
DIVENTARE INTERLOCUTORI E INTERLOCUTRICI – Uno dei motivi che hanno spinto a organizzare il Congresso è stato il bisogno di porsi come interlocutori. Di chi? “Interlocutrici rispetti ai media sicuramente, perché spesso si parla di noi con linguaggi stigmatizzanti, violenti, stereotipati, e questo è disumanizzante – dichiara Elettra. – E poi rispetto alla politica. Ad esempio, in nessuna delle fasi di discussione della proposta di legge Majorino le sex worker sono state ascoltate. Pia Covre, volto storico di questa lotta, è stata presente perché si è imposta in virtù della sua notorietà, ma di solito si parla di sex work senza le sex worker. Al Congresso prenderemo parola a volto scoperto”.