Il circostanziato e approfondito Dataroom del 29 maggio scorso, “perché i pendolari sono ostaggio dei treni”, di Milena Gabanelli e Gianni Santucci non rende completamente l’idea delle cause dell’inefficienza e della scarsa affidabilità dei treni pendolari italiani. Inefficienza che spiega il loro minor utilizzo, circa 2,3 milioni di pendolari contro i 3 milioni del 2019 (sempre pochi), rispetto alle consistenti risorse pubbliche spese. Dato registrato dopo la pandemia e il rinnovato ricorso all’uso dell’automobile dei pendolari per raggiungere il posto di lavoro o la scuola.

Uso maggiore dell’automobile che, inevitabilmente, aumenta la congestione sulle strade e il già alto inquinamento atmosferico. Va precisato che il “grosso” dei pendolarismo non lo troviamo sui treni, ma sugli autobus extra-urbani con oltre 10 milioni di passeggeri all’ anno. Anche questo settore vive la stessa crisi di quello ferroviario. Non è così nel vecchio continente dove, negli ultimi decenni, la liberalizzazione del settore e l’adozione di meccanismi competitivi per l’affidamento dei servizi hanno potenziato e migliorato l’offerta di trasporti pubblici, con il risultato di rendere più efficiente anche la spesa pubblica nel settore.

Il Dataroom cita i lucidi e completi rapporti annuali di Pendolaria. Ma anche Legambiente sembra non volersi mai fare una semplice domanda: perché il trasporto ferroviario convive con livelli di inefficienza che oramai sono stati superati da tempo in ogni Paese europeo sviluppato con le gare e con una regolazione pubblica moderna e responsabile?

La situazione italiana si caratterizza per l’assenza di competizione (regolata) nell’affidamento dei servizi di trasporto pubblico, sia per gli autobus extra-urbani che per i treni regionali. Le competenze istituzionali sono troppo frammentate, senza alcuna regia capace di ottimizzare la spesa pubblica del comparto. Le istituzioni pubbliche spesso proprietarie delle aziende e controllori dei servizi sono orientate a politiche consociative e di consenso, non alla soddisfazione del passeggero. Le aziende pensano prima a se stesse (ai consiglieri di amministrazione, ai loro manager, ai loro fornitori di beni e servizi), poi se avanza tempo ai servizi da svolgere.

L’inerzia amministrativa e consociativa del regolatore pubblico prevale sulla necessità di cambiamento e di innovazione del sistema dei trasporti. Sistema che non è limitato e inefficiente per le percentuali di linee a binario unico o non elettrificate (i dati sono in linea con quelle europee), piuttosto per le caratteristiche gestionali e manutentive di rete, per il materiale rotabile e per l’organizzazione del lavoro con manager che stanno lì indipendentemente dalla loro prestazioni. Il vecchio direttore di Mercitalia Logistic, che ha chiuso il bilancio con una perdita di 144 milioni nel 2022 e di 19 milioni nel 2021, è stato nominato qualche giorno fa amministratore delegato di RFI, la più importante controllata del Gruppo FS .

Le compagnie ferroviarie, da Trenitalia alla lombarda Trenord, mostrano inadeguatezze tipiche di un sistema monopolistico (poco responsabile nella gestione perché garantito dall’assenza di concorrenza e da contributi pubblici sicuri) e della grave carenza di regolazione pubblica.

Infine è da sfatare il mito dell’alta velocità. Non è poi così redditizia come si crede. I ricavi sono in continua flessione mentre, in questi anni, esclusi quelli pandemici, sono cresciuti i margini del trasporto regionale grazie all’aumento dei ricavi relativi ai contratti di servizio con le Regioni (quelli garantiti per l’assenza delle gare). Insomma il gruppo FS chiude i bilanci in attivo grazie al trasporto dei pendolari anche se i servizi peggiorano e i pendolari diminuiscono.

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