Dagli effetti paradossali della concorrenza imperfetta sui salari dei lavoratori e, in generale, il potere dei datori di lavoro sui loro impiegati, ai segreti dello smart working, dal salario minimo all’impatto occupazionale delle nuove tecnologie, passando per il fattore Ue. Al Festival internazionale dell’Economia di Torino di Tito Boeri si parla molto di lavoro. In modo tutt’altro che convenzionale, con nomi di peso e un pubblico piuttosto variegato per età e genere, ma accomunato da numerosità e interesse.

Ha fatto per esempio il tutto esaurito l’intervento di venerdì 2 giugno di Alan Manning, Economista della London School of Economics, al Collegio Carlo Alberto sul potere “perverso” che i datori di lavoro esercitano sui loro dipendenti e su come si possa arginare. In tutto il mondo, è emerso dall’intervento dell’esperto di lavoro e potere monopsonico, si teme che il bilanciamento del potere tra i lavoratori e i loro datori di lavoro si sia spostato verso i datori di lavoro. Anche per questo le nostre economie non riescono più a garantire standard di vita migliori per la maggior parte dei lavoratori. Ma questo non è inevitabile: possiamo cambiare rotta, sostiene Manning.

Per esempio fornendo ai lavoratori più informazioni e più opzioni, al fine di rendere più semplice cambiare lavoro e datore. “I datori di lavoro stanno attivamente cercando di appropriarsi del capitale umano dei lavoratori in molte aree. Gli economisti fanno uso diffuso dell’idea che se due parti concordano volontariamente un contratto, la presunzione è che entrambi guadagnino. Ma bisogna preoccuparsi per una pratica simile”, dice il professore.

Ancora lavoro e ancora tutto esaurito anche per il premio Nobel per l’Economia 2021 David Card. Tema dell’incontro il futuro del lavoro: smartworking, impatto delle nuove tecnologie, modifiche salariali e quanto spazio effettivo ci sarà per equità e diversità all’interno del mercato. “Dopo la fine della Grande Recessione gli stipendi di chi guadagnava di più sono scesi, mentre sono saliti per quanti guadagnavano di meno, questo grazie alla tecnologia”, ha ricordato il professore alla University of California, Berkeley, ricollegando al passato l’attuale congiuntura.

Un aumento di produttività è sicuramente raggiungibile con lo smart working, come dimostrano i risultati ottenuti sotto lockdown quando si è arrivati al 100% di lavoro a distanza. Tuttavia, ha evidenziato il professore canadese, ci sono perplessità da non sottovalutare sia da parte dei manager che da parte dei lavoratori. I primi infatti temono, confortati da alcuni studi, un calo della creatività a causa dell’effetto silos, quello per cui da remoto si finisce con il comunicare solo con il proprio gruppo di lavoro. E così si toglie linfa all’innovazione. Quanto ai lavoratori, Card sottolinea i dati un po’ sorprendenti di alcuni studi, secondo i quali la disponibilità a ridurre il proprio salario in cambio di più giorni di lavoro da casa, sia limitata sia nei giorni, sia nella fetta di stipendio alla quale sono disposti a rinunciare, che risulta decisamente inferiore al risparmio ottenibile tagliando gli spostamenti casa-ufficio.

Alza le mani sul salario minimo legale il Commissario europeo per il lavoro e i diritti umani Nicolas Schmit, intervistato pubblicamente dal vicedirettore della Stampa Marco Zatterin in un intervento intitolato L’Unione Europea di fronte alle sfide dei cambiamenti del lavoro. Non sta a Bruxelles imporlo agli Stati membri, ricorda, pur sottolineandone i pregi, economici ma anche sociali. Tanto più che, contrariamente ai banchieri centrali, ritiene che i salari debbano stare al passo con l’inflazione, perché “non possiamo rendere i lavoratori vittime della situazione”. Tra le conseguenze della quale ci sono un aumento dei lavori flessibili, crescenti problemi di reddito dei lavoratori, oltre alla necessità di una vera integrazione per i lavoratori stranieri.

“Un’ottima idea, ma non sta a me o al governo implementarla: sono le parti sociali a dover decidere. In molte aziende il numero delle assenze è diminuito, e c’è più produttività”, ha poi detto a proposito della settimana lavorativa di quattro giorni. Quanto alla discriminazione di genere, con i disarmanti dati emersi in occasione dell’ultima relazione annuale della Banca d’Italia, “le donne hanno difficoltà ad avere accesso alle stesse possibilità degli uomini. E questo è ingiusto e inaccettabile, ma ci stiamo lavorando. È una perdita per la nostra economia, in un periodo in cui abbiamo carenza di competenze, un mondo in cui le donne hanno una migliore preparazione, ma non accesso al mondo dei lavoro”, ha detto sottolineando la necessità di individuare garanzie e soluzioni ibride per il telelavoro, convinto che saranno le parti sociali a trovare l’equilibrio.

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