Paura, smarrimento, angoscia per il futuro. Sono i sentimenti che, insieme agli enormi danni materiali, l’alluvione ha lasciato nelle persone che hanno perso tante cose: la propria casa, gli oggetti di una vita e, nei casi più gravi, un famigliare o un conoscente. Dalle esondazioni è passata qualche settimana. Il fango per le strade e nelle abitazioni è diminuito, gli hub che ospitano gli sfollati continuano a svuotarsi lentamente. Eppure le immagini dei terribili momenti in cui l’acqua ha invaso violentemente la vita di decine di migliaia di persone passano ancora nella mente di chi li ha vissuti: “È come un film dell’orrore: il rumore dell’acqua che sale, l’odore del fango, le auto spazzate via dalla corrente, i gommoni che ti salvano. Ancora oggi lo rivivono nella propria testa. Anche se non lo vogliono”, spiega Giuseppe Angelone, psicologo dell’Azienda USL della Romagna e coordinatore per la provincia di Ravenna della squadra di 123 psicologi che l’Emilia-Romagna ha attivato per supportare la popolazione colpita dall’alluvione.
Disperazione e frustrazione – I dottori fanno parte delle aziende sanitarie provinciali, della Croce Rossa e di altri enti. Sono esperti in psicologia dell’emergenza e aiutano i pazienti a gestire e accettare il grande trauma causato dalla calamità. Il primo approccio è quello più importante e delicato. Negli hub, per esempio, si vedono gli psicologi che si avvicinano alle persone e iniziano la conversazione con domande informali, quasi di circostanza. Di solito all’inizio i pazienti si chiudono in se stessi e rispondono in modo evasivo. Poi a poco a poco cominciano ad aprirsi e a buttare fuori le angosce. “Chi ha perso tanto sente che ogni sacrificio che ha fatto nella sua vita è stato inutile – racconta Angelone –. Succede soprattutto nei più anziani. Alla disperazione si aggiunge la frustrazione, che porta le persone a pensare ‘Perché è capitato proprio a me?’”. La situazione varia da Comune a Comune. Nelle località più distrutte il contraccolpo psicologico è ovviamente più pesante. “Nei centri di accoglienza si crea una ‘bolla temporale’ – continua lo psicologo – dove gli sfollati vivono solo il presente e si sentono al sicuro”. Le famiglie si tengono compagnia, gli sconosciuti giocano a carte tra loro per scacciare i ricordi. I bambini vengono coinvolti dagli psicologi in attività di gruppo per non lasciare che si isolino troppo.
Il lutto per la normalità spazzata via dall’acqua – Man mano che avviene il rientro, anche gli psicologi si spostano nei centri abitati predisponendo punti di ascolto per dare continuità alla terapia. Oltre agli sportelli, la Regione ha attivato anche una linea telefonica di supporto attiva 7 giorni su 7. Perché le inquietudini non passano una volta che gli evacuati tornano a casa. Il fango e i danni, infatti, rendono quasi irriconoscibili quelle strade e quegli edifici che prima facevano parte della quotidianità, e questo aumenta il senso di smarrimento. Si cominciano a quantificare le cose che l’acqua ha distrutto, una conta in cui anche aver ritrovato le foto dei propri cari può fare la differenza. “Si vive un lutto – dice Angelone – che non è solo legato alle persone decedute nell’alluvione, che nel Ravennate sono state tantissime senza contare gli animali da compagnia che non ci sono più. L’acqua si è portata via anche la routine e la normalità”.
Lo stress dei volontari e l’ansia dei sindaci – Gli psicologi assistono anche i volontari, che da settimane vivono a strettissimo contatto con le comunità alluvionate. Un impegno continuo e senza riposo per riuscire a far fronte ai bisogni delle persone e che per questo può causare molto stress. Un trauma diffuso e condiviso che continuerà a riverberare anche dopo le contingenze dell’emergenza: “Insonnia, ansia, assenza della percezione del futuro e agitazione. Sono le reazioni da stress post-traumatico che ci dobbiamo aspettare nelle prossime settimane”, spiega la dottoressa Gabriella Gallo, direttrice di psicologia territoriale dell’Azienda USL di Bologna. Nel Bolognese l’attenzione maggiore degli psicologi è indirizzata ai sindaci dei paesi appenninici, dove ancora oggi ci sono centinaia di strade interrotte dalle frane con intere frazioni isolate. La stessa Gallo ha dovuto evacuare la propria abitazione. Gli amministratori locali sono spesso i primi che contattano i dottori, per chiedere loro il modo migliore per comunicare ai residenti che la propria casa è inagibile, oppure per spiegare il motivo delle difficoltà nel liberare le strade dalle macerie. “Spesso contro di loro si riversa la rabbia e la frustrazione degli isolati e degli sfollati – continua Gallo –. I sindaci vivono nell’ansia di affrontare un’ennesima emergenza: prima la pandemia da Covid-19, poi l’accoglienza dei profughi di guerra ucraini. E ora questa. È normale che la resilienza possa venire meno”.
La “terapia sociale” della solidarietà – Gli psicologi e le psicologhe sono convinti che le immagini delle città allagate viste dall’alto e dei video dei fiumi che rompono i propri argini rimarranno nell’immaginario collettivo di tutti gli italiani. Ma ne faranno parte anche le fotografie che ritraggono decine di volontari mentre spalano il fango o aiutano i residenti a trasportare gli oggetti distrutti. “La solidarietà è stata ed è ancora una terapia sociale potentissima – sottolinea Antonella Liverani, dirigente della struttura psicologica dell’Azienda Usl di Forlì-Cesena –. Tantissimi, soprattutto giovani, che si sono attivati spontaneamente per aiutare. Questo ha dato tanta vitalità alle persone colpite dall’alluvione”. Il volontariato ha creato vicinanza emotiva tra le persone: agli alluvionati ha permesso di trovare qualcuno con cui condividere il dramma vissuto e ricevere azioni pratiche e utili per cominciare a pensare al dopo. “Dalla mano in più che svuota la cantina con un secchio, fino all’insegnante che compra i libri di scuola a un ragazzino – racconta Liverani –, sono gesti che hanno fatto nascere delle comunità terapeutiche dentro le difficoltà dell’emergenza”.