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Cagliari, la “bianca Gerusalemme” di Sardegna: un viaggio tra cultura, storia ed eccellenze culinarie

Una narrazione che continua a snodarsi tra la città e il mare, tra la laguna e le sue ex saline di Stato con il Parco di Molentargius dove al tramonto i fenicotteri rosa si alzano in volo, e che passa per il mercato al coperto dove tutto si mescola

Testo e Foto di Alessandra De Vita

C’è una luce dorata che si riflette tra i palazzi ed è proprio quella, tipica, di una città che evoca l’Oriente e insieme la Spagna, Malta e anche Parigi, con strade che ricordano gli champ elysees. Ebbene, quella luce la si cattura meglio al tramonto, dall’alto della grande terrazza del Bastione di Saint Remy, nel quartiere Castello, camminando tra le colonne neoclassiche del monumento intitolato al primo viceré sabaudo. Da lì la città la vedi tutta: fiera, ripida che dai sette colli si appoggia sulla baia che corre dal Poetto, la spiaggia ai piedi della “sella del diavolo” dove i cagliaritani più sportivi vanno in canoa e a fare vela, fino a quella più incontaminata di Calamosca, piena di ciottoli e sabbiolina bianca e in cui a pochi metri dalla riva puoi scorgere i polipi e nuotare tra i pesci a patto che rispetti il divieto di pescarli.

La “bianca Gerusalemme”: quando arrivò a Cagliari, D.H. Lawrence la battezzò così, contemplando insieme alla moglie Frieda von Richthofen quella città “strana e piuttosto sorprendente, per nulla somigliante all’Italia. La città si ammucchia verso l’alto, quasi in miniatura, e mi fa pensare a Gerusalemme”, scrisse l’autore de “L’amante di Lady Chatterley” nelle pagine di “Sea and Sardinia” esattamente cento anni fa. Oggi, a ereditare questi tesori c’è quello che era solo un gruppo di ragazzi mossi dal desiderio raccontare la propria città.

Era il ’93 quando un gruppetto di studenti universitari chiese al parroco della città le chiavi della cripta di Santa Restituta: un sotterraneo scavato nella roccia che conserva non solo le tracce antiche dei fenici e dei punici, ma anche quelle di tutti i cagliaritani che qui trovarono rifugio durante la seconda guerra mondiale. Le loro firme sono ancora lì, in calce nella roccia e convivono con ciò che resta dell’affresco bizantino di San Giovanni Battista. Da lì è partita quella che poi, qualche anno dopo, è diventata Imago Mundi che ogni anno, dal ’97, realizza l’evento Monumenti Aperti e che da allora si è estesa ad altre città di tutta Italia – da Cagliari alla Sardegna e da questa al resto d’Italia – coinvolgendo migliaia di studenti di tutte le età che per due giorni diventano i “ciceroni” della propria città attraverso i monumenti aperti al pubblico. Sullo sfondo di questo racconto c’è una città che custodisce ancora il passaggio dell’impero romano, la presenza spagnola e piemontese. Sono loro, i ragazzi, il vero motore di quest’esempio di impegno civile tutto italiano in cui ha creduto per primo Gianni Filippini, primo assessore alla Cultura del Comune di Cagliari, che durante la prima conferenza stampa di Monumenti Aperti, si alzò per dire a quei ragazzi: “Io ci sono”. Ed è a lui che è dedicata l’edizione di quest’anno, la 27esima ormai, a chi aveva capito che quel gruppo di ragazzi che aveva deciso di restituire alla città storia e racconti della comunità che ci abita, aveva ragione.

Una narrazione che continua a snodarsi tra la città e il mare, tra la laguna e le sue ex saline di Stato con il Parco di Molentargius dove al tramonto i fenicotteri rosa si alzano in volo, e che passa per il mercato al coperto dove tutto si mescola: formaggi, pesce di tutte le specie e l’amata bottarga. È l’oro rosso della Sardegna che qui condisce i piatti più pregiati e persino, a volte, i macarons alla fine di una cena che incastra i sapori più antichi in involucri contemporanei, uniti nel solco della qualità del cibo che a Cagliari è un valore irrinunciabile e sacro. Di sacro dal mare qui arriva anche Sant’Efisio che tutti gli anni si porta in processione il Primo Maggio. La festa dei lavoratori viene messa in ombra da quella più lunga del santo che, invocato dai cagliaritani, li aiutò a sconfiggere la peste. In quella stessa grotta dove il santo guerriero fu imprigionato prima di venire decapitato, nel 303 d.C, oggi sorge la sua Chiesa, innalzata e poi adeguata allo stile barocco del primo Settecento.

Sant’Efisio non è l’unico ad essere venerato qui a Cagliari. Nelle stradine del centro storico sbucano angoli votivi a Gigi Riva che negli anni Sessanta arrivò da Leggiuno a Cagliari che era già un temuto attaccante. Su di lui fu edificata la Cagliari dello scudetto, il primo impugnato da una squadra del Mezzogiorno nel 1970. Riva, che quando arrivò in Sardegna era contrariato e arrabbiato col mondo (era rimasto orfano sin da ragazzino) di abbandonare questa terra non ha mai più voluto saperne.

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