Nega tutte le accuse, attacca a testa bassa l’indagine che la vede coinvolta e annuncia di essere pronta a tornare in Parlamento. Dieci giorni dopo essere tornata in libertà Eva Kaili torna a parlare. L’ex vicepresidente del Parlamento Ue, finita agli arresti nell’ambito dell’indagine nota come Qatargate, ha risposto alle domande inviate via mail ai suoi legali dal Corriere della Sera. Già il 25 aprile scorso Kaili era stata intervistata dai giornalisti francesi di Liberation, che erano andati a incontrarla nel suo appartamento, dove era ai domiciliari dal 12 aprile scorso, dopo quattro mesi trascorsi in carcere. Anche per questo motivo Michel Claise, il giudice istruttore della procura federale di Bruxelles le ha vietato di rilasciare dichiarazioni alla stampa. L’europarlamentare greca, però, ha rilasciato queste interviste prima del provvedimento del magistrato.
L’annuncio: “Voglio tornare in aula”- Nell’intervista al quotidiano di via Solferino Kaili annuncia di voler tornare in aula a Bruxelles, visto che è ancora eurodeputata: “Vorrei essere in aula già lunedì 12, ma devo avere chiarimenti dai miei legali su come mi devo comportare”. Sulla decisione di Roberta Metsola, che l’ha subito destituita da vicepresidente del Parlamento Ue dopo l’arresto, invece dice: “È triste vedere come non venga rispettata la presunzione di innocenza. Mi dispiace che nessuno degli eurodeputati mi abbia cercato per ascoltare la mia versione. Ho apprezzato la posizione di Massimiliano Smeriglio e sono molto riconoscente a Deborah Bergamini, la deputata italiana più coraggiosa che ha osato venirmi a trovare in prigione e ha denunciato i metodi inumani usati contro di me”. Smeriglio è stato eletto col Pd e fa parte dello stesso gruppo di Kaili, quello dei Socialisti e democratici: aveva rilasciato alcune interviste a difesa della posizione della parlamentare greca, subito dopo il suo arresto. Bergamini, invece, è un’europarlamentare di Forza Italia.
L’attacco all’indagine – Sono gli unici nomi citati da Kaili, che nel resto dell’intervista prosegue nella sua strategia di difesa, che equivale a respingere le accuse. E per la prima volta attacca pubblicamente l’inchiesta che nel dicembre scorso ha terremotato i palazzi dell’Unione europea. “Credo che le aspettative create dai media fossero alte e le fughe di notizie selettive e illegali sulla stampa hanno trasformato i dibattiti televisivi mondiali in aule di tribunale. I giornalisti avevano le informazioni prima dei miei avvocati, il che ha portato a speculazioni estreme. Dopo tutti questi mesi non è venuto fuori nulla di nuovo. Il Parlamento ha protezioni che nessun lobbista può abbattere“, dice la politica greca. Che poi mette nel mirino le intercettazioni compiute dal Vsse, il servizio segreto del Belgio. “C’è una cosa inquietante che vorrei sollevare. Dal fascicolo giudiziario i miei avvocati hanno scoperto che i servizi segreti belgi avrebbero messo sotto osservazione le attività dei membri della commissione speciale Pegasus. Il fatto che i membri eletti del Parlamento siano spiati dai servizi segreti dovrebbe sollevare maggiori preoccupazioni sullo stato di salute della nostra democrazia europea. Penso sia questo il vero scandalo“. La commissione speciale citata da Kaili è quella creata all’Europarlamento per indagare sull’uso di Pegasus, lo spyware che – secondo alcune inchieste giornalistiche – è stato usato anche dagli 007 marocchini per spiare gli attivisti per i diritti umani. Il riferimento ai servizi, invece, è relativo al fatto che l’indagine sulle mazzette in Ue nasce proprio dall’attività d’indagine dell’intelligence belga. Come aveva rivelato Il Fatto Quotidiano, infatti, erano stati gli 007 di Bruxelles a scoprire l’esistenza di una rete che puntava a interferire nei processi decisionali della più alta istituzione comunitaria, corrompendo politici in posti chiave. E che faceva capo a una cellula di agenti segreti del Marocco, ma anche al governo del Qatar alla vigilia dei mondiali di calcio. I servizi di Bruxelles indagavano perché in Belgio la legge lo permette, mentre in altri Paesi – come per esempio l’Italia – non è consentito agli 007 portare avanti attività d’indagine che sono esclusiva competenza dell’Autorità giudiziaria.
“Volevano dei nomi e mi avrebbero liberato” – Non è l’unico aspetto dell’inchiesta attaccato da Kaili, che critica anche i quattro mesi che ha trascorso in carcere. “Dichiarandomi colpevole o facendo nomi importanti sarei tornata subito da mia figlia, ma dato che avrei dovuto mentire, non ho mai nemmeno pensato che potesse essere un’opzione”, dice l’europarlamentare, che ha una figlia con Francesco Giorgi, ex assistente di Antonio Panzeri, l’uomo al centro dell’inchiesta sulle mazzette in Ue. Dopo l’arresto di Panzeri e di Giorgi, gli investigatori fermano anche Kaili, che aveva appena chiesto a suo padre di portare via da casa una valigia con dentro 700 mila euro in contanti. Kaili e Giorgi hanno sempre sostenuto che quel denaro apparteneva a Panzeri: già in passato l’itliano aveva chiesto al suo ex assistente di custodire soldi in contanti per lui. “Penso che sia a causa della mia immunità“, aveva messo a verbale Kaili durante uno degli interrogatori. “Quando Francesco è stato arrestato e gli hanno sequestrato l’auto- dice oggi al Corriere – ho pensato ad un incidente stradale. Poi mi hanno mandato la notizia che anche Panzeri era stato arrestato. Sono andata in panico. Sapevo che nel suo ufficio che è nella stanza di sopra, dove non vado mai, c’era una valigia di Panzeri e ho trovato un sacco di soldi. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, ma volevo allontanare da casa quel denaro per ridarlo a Panzeri, colui che credevo ne fosse il proprietario”. Quanto ai rapporti tra Panzeri e Giorgi, Kaili ricorda che “Panzeri è stato il datore di lavoro di Francesco e lo ha assunto quando era solo uno studente di venti anni” e “Francesco aveva un senso di gratitudine e di obbligo morale molto profondo nei suoi confronti”. Mentre riguardo ai soldi contanti trovati in casa sua dice: “Dopo più di un anno di indagini i miei conti correnti e le mie proprietà sono state controllate e sono risultate cristalline. Sulle banconote trovate non ci sono le mie impronte digitali“.
“Panzeri si è pentito perché era minacciato” – Nel gennaio scorso l’ex europarlamentare italiano ha patteggiato un anno di carcere, accettando di collaborare con la magistratura. A sentire Panzeri il Qatar avrebbe finanziato le campagne elettorali di Andrea Cozzolino (Pd), Lara Comi (Forza Italia) e Kaili con 250mila euro a testa. Kaili, però, nega: “Penso che il pentimento e le confessioni di Panzeri siano state ottenute sotto minaccia. Il messaggio era chiaro: se fai i nomi, ti offriamo un accordo e liberiamo tua moglie e tua figlia dalla prigione. Sono metodi non degni di uno stato di diritto. Hanno fatto lo stesso con me”. Poi lancia una strana accusa: “Durante il primo interrogatorio e prima di pentirsi, Panzeri ha fatto i nomi di due membri del parlamento di lingua italiana e non il mio e non parla di me neppure nelle intercettazioni telefoniche. Il primo è stato arrestato, l’altra persona non ha avuto problemi, mi chiedo ancora perché. Forse perché protetta da un’immunità speciale?”. Il riferimento è per i due parlamentari belgi di origine italiana: Marc Tarabella, arrestato e rilasciato dopo 3 mesi il 9 maggio scorso, e Maria Arena, ex ministra che invece si è solo dimessa dalla presidenza della commissione Diritti Umani.
La vicenda del “voto fantasma” e gli incontri col ministro del Qatar – Kaili si limita a dire “che Panzeri riceveva donazioni” e che “ci sono testimonianze documentate sulla sua attività nel Parlamento e sulle persone che ha coinvolto. Io non sono tra quelle. Le commissioni parlamentari di cui faccio parte e il mio lavoro legislativo non hanno alcuna relazione con le sue attività. Anche i servizi segreti confermano che non faccio parte di nessuna organizzazione criminale. Nessuno può corrompermi”. In realtà tra le vicende finite all’attenzione degli investigatori c’è anche la delicata questione della liberalizzazione dei visti per alcuni Paesi extraeuropei, tra cui pure il Qatar. L’1 dicembre scorso la commissione Libe del Parlamento Ue si riunisce a approva la proposta di estendere i visti anche a Doha, come auspicato da Panzeri e dalla sua squadra. Si tratta dell’ormai famosa seduta nella quale compare il “voto fantasma” di Kaili, che non faceva parte di quell’organismo parlamentare. La seduta è pure quella seguita in prima persona da Giorgi, che, dopo l’approvazione, si è fatto notare per un’esultanza e un “batti cinque” con il consigliere politico di S&D per gli Affari Esteri, Eldar Mamedov, poi sospeso dal gruppo socialista che lo ha anche segnalato alla polizia. Quella proposta sarebbe poi dovuta arrivare in aula durante la Plenaria, per essere confermata: l’arresto di Panzeri, Giorgi e Kaili, però, ha bloccato tutto. Sulla questione dei visti al Qatar Kaili si era spesa in prima persona, tanto da volare a Doha per intrattenere discussioni con i vertici del Qatar ed esaltare pubblicamente le riforme dell’emirato in tema di diritti umani, oltre ad aver incontrato due volte il ministro del lavoro del Qatar. Incontri che nell’intervista al Corriere giustifica così: “Nel mio ruolo di vicepresidente responsabile delle relazioni con i paesi del Medio Oriente ho incontrato diversi ambasciatori e ministri, e avevo in programma delle visite ufficiali in tutti i paesi del Golfo. Era una missione di diplomazia parlamentare fatta per conto della presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. L’Ue considera il Qatar come un partner fondamentale nella regione. È l’unico paese del Golfo ad aver condannato l’invasione russa dell’Ucraina e la sua posizione geopolitica come esportatore alternativo di Gnl verso la Russia lo rendono strategicamente importante per gli Stati membri”. Nessun commento, invece, sulla vicenda del “voto fantasma” in commissione.