L’uso crescente di grassi animali per biocarburanti è sempre più insostenibile, nonostante sulla carta si tratti di un combustibile dall’impronta carbonica più bassa rispetto a quelli tradizionali. In primis perché per produrre il carburante necessario per un volo da Parigi a New York, alimentato al cento per cento da biodiesel, potrebbero servire fino a 8.800 maiali morti, dato che si tratta dello scarto di un’industria, quella della zootecnia intensiva, a sua volta insostenibile in termini di emissioni di gas serra. Già oggi, inoltre, quasi la metà di tutti i grassi animali europei è destinata alla produzione di biodiesel e da qui al 2030 il consumo di biocarburanti prodotti con questa materia prima potrebbe triplicare, innescando una forte competizione con altre industrie che ne fanno uso, come quella del pet food, dei saponi e della cosmesi, costrette a scegliere strade ancora meno sostenibili. Secondo uno studio pubblicato dalla Federazione europea Transport & Environment, inoltre, alcuni dati emersi suggeriscono “un significativo rischio che i grassi animali di categoria 3 (di qualità superiore e impiegati tipicamente in industrie a maggior valore aggiunto) vengano ‘declassati’ ed etichettati come categoria 1 e 2 per poter essere utilizzati nel settore trasporti e beneficiare di un doppio incentivo economico” riconosciuto per legge a questo tipo di addizione ‘rinnovabile’. Di fatto una frode industriale vera e propria. Un campanello d’allarme specialmente per l’Italia, che impiega circa il 50% di tutto lo stock Ue di queste materie prime ‘di scarto’ e che, pertanto, risulta essere il principale utilizzatore di grassi animali di categoria 1 e 2 nella produzione di biodiesel: circa 440mila tonnellate raffinate nel solo 2021.
Una pericolosa competizione – “Queste materie prime sono scarse e necessarie in altre industrie a maggior valore aggiunto, come quella del pet food o della cosmesi che hanno poche o nessuna alternativa per sostituirle. Impiegarle per la produzione di biocarburanti spinge i settori concorrenti all’uso di feedstock alternativi e assolutamente negativi da un punto di vista ambientale e climatico, come ad esempio l’olio di palma” spiega Carlo Tritto, policy officer di T&E. I produttori di alimenti per animali domestici hanno già lanciato l’allarme, spiegando che saranno costretti a passare a “opzioni meno sostenibili”, così come hanno fatto anche i produttori di saponi e cosmetici. “Nel peggiore degli scenari possibili – spiega lo studio – quello in cui l’olio di palma vergine arrivi a sostituire i grassi animali nell’industria oleochimica (saponi, cosmetici), alle emissioni di CO2 dei biocarburanti a base di grassi animali andrebbero sommate quelle prodotte per incrementare la produzione di olio di palma”.
Il rischio di frode sulle categorie dichiarate – L’analisi che T&E ha commissionato a Cerulogy, una società di consulenza esperta del settore, inoltre, dimostra una forte discrepanza tra i dati riportati dagli stati membri e quelli dell’industria dei grassi animali. Quest’ultima, nel 2021, ha dichiarato di poter offrire al mercato poco meno di mezzo milione di tonnellate di grassi animali di tipo 1 e 2, quelli che non possono essere consumati dall’uomo o dagli animali, in quanto di scarsa qualità o potenziale veicolo di agenti patogeni e malattie e quindi utilizzati solo nei carburanti per i trasporti e per il riscaldamento. Gli Stati membri, però, hanno riportato un impiego di queste materie di circa un milione di tonnellate. Quale il vantaggio? La Direttiva europea sull’energia rinnovabile (Red) incoraggia la produzione di grassi animali per i carburanti da trasporto, consentendo ai fornitori di carburante di raggiungere gli obiettivi sulle rinnovabili grazie al loro utilizzo. La Red, infatti, dà priorità alle categorie 1 e 2 per i carburanti da trasporto, assegnando loro il doppio del loro contenuto energetico (e quindi un doppio incentivo economico) nel raggiungimento degli obiettivi. I grassi animali, in sintesi, hanno un valore maggiore se commercializzati come carburanti da trasporto. “Tutto ciò suggerisce che i grassi animali di categoria 3, quelli di qualità superiore, potrebbero venire etichettati in maniera fraudolenta come categorie 1 e 2 per poter beneficiare dei vantaggi economici riconosciuti con i doppi incentivi” spiega la federazione, che chiede ai legislatori di escludere la categoria 3 dei grassi animali dall’elenco delle materie prime ammissibili per i biocarburanti. Alcune compagnie aeree, come Ryanair e Wizz Air, hanno recentemente concluso importanti accordi con fornitori di petrolio per i carburanti sostenibili per l’aviazione. Tuttavia, i dettagli sulle esatte materie prime utilizzate sono spesso vaghi.