Blastare (per quelli della mia età: “zittire chi ha detto una palese sciocchezza sui social” nella definizione dell’Accademia della Crusca) è una strategia sempre più usata verso chi ha dubbi su questioni complesse. Siamo sicuri sia la strada da preferire rispetto al dialogo e alla forza delle argomentazioni?

Cambiamento climatico e riscaldamento globale grazie a una mole di prove scientifiche sono passati negli ultimi decenni da teorie a fatti acclarati. Nella lettera di 1500 scienziati che sostiene l’assenza di “alcuna emergenza climatica” sono contenuti diverse opinioni legittime alle quali sarebbe utile rispondere piuttosto che affibbiare la patente di “negazionista”, un termine che dovrebbe essere riservato solo a chi nega l’olocausto.
Sono gli stessi dubbi che hanno tante persone comuni.

Nello specifico, è vero che il clima è sempre cambiato (anche se mai a questa velocità), è vero che i modelli climatici non sono sempre affidabili, perché è complesso (ma non impossibile) misurare un aumento di temperatura “globale” o di fenomeni meteo estremi. Per rispondere, serve un “argomento definitivo” per dimostrare il cambiamento climatico. Qualcosa che non permette ulteriori repliche.

Quando si cercano informazioni su una questione sanitaria ci si rivolge a una fonte istituzionale affidabile e autorevole.

Il sito della Nasa (purtroppo solo in inglese) è uno di quelli più affidabili riguardo il cambiamento climatico. Se la Nasa ha mandato l’uomo sulla luna e le sonde Voyager nello spazio interstellare che ancora comunicano con noi dopo oltre 40 anni, evidentemente quando afferma qualcosa è da ascoltare attentamente. Come detto prima, è difficile misurare negli anni la temperatura in tutto il mondo e combinare dati che possono essere eterogenei per arrivare a una differenza tutto sommato risibile (un grado centigrado in più rispetto all’epoca pre-industriale).

Per convincere, è più utile un numero, uno solo, non un “modello matematico”. E qual numero, “l’argomento definitivo” è la concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera.

Rispetto all’epoca pre-industriale (quando non si bruciavano fonti fossili) la concentrazione di CO2 è aumentata da 280 ppm (parti per milione) a 360 ppm all’inizio del secondo millennio, e in solo una ventina di anni ha superato la soglia di 420 di oggi. L’incremento più consistente è avvenuto soprattutto negli ultimi anni, quando maggiore è stato il nostro consumo di fonti fossili.

Possiamo misurare la concentrazione di anidride carbonica grazie all’aria intrappolata nei carotaggi dei ghiacci antartici e dagli anni 60 abbiamo anche delle misure dirette. Questi dati ci dicono che negli ultimi ottocentomila anni la CO2 nell’aria non ha mai superato la soglia di 300 ppm e che non è mai stata così alta in milioni di anni.

Buona parte della CO2 che abbiamo prodotto (circa il 30%) è stata assorbita dagli oceani e ha causato la loro acidificazione (infatti il pH si è abbassato da 8.2 a 8.1). La CO2 causa l’effetto serra, cioè una parte sempre minore della radiazione solare è riflessa nello spazio. Questo provoca un aumento delle temperature, quindi maggiore evaporazione dell’acqua. Anche se non è possibile stabilire una correlazione diretta causa-effetto per il singolo fenomeno come nelle Marche, in Romagna o Ischia, più acqua nell’atmosfera poi ricade in modo copioso. E incrementa ancora di più le temperature, perché anche l’acqua stessa aumenta l’effetto serra. La concentrazione di acqua in atmosfera però non la possiamo controllare in modo diretto, ma quella della CO2 sì.

Per capire quanto l’argomento “aumento della CO2” sia di fatto inconfutabile, nella lettera degli scienziati scettici si tenta maldestramente di sminuirlo dicendo “ma la CO2 non è un inquinante ed è benefica per la crescita delle piante”. A parte che oltre una certa concentrazione (2500 ppm) la CO2 causa problemi di salute (chiedere agli astronauti della missione Apollo 13…), è pericolosissimo trovarsi di fronte a qualcosa mai visto negli ultimi milioni di anni e che soprattutto è variato in modo così rapido.

È vero che i modelli matematici sul clima non possono prevedere “tutto” in modo affidabile, ma questa dovrebbe semmai essere una motivazione in più per agire, non per stare fermi: rischiamo di trovarci di fronte scenari che non abbiamo mai affrontato e di fronte ai quali noi e soprattutto le nostre generazioni future saremmo del tutto impreparati.

Forse è più semplice dire “la nostra casa brucia”, rispetto a comunicare un concetto difficile da visualizzare come quello di “concentrazione” (quantità per unità di volume). Aver raggiunto un livello di CO2 senza precedenti in milioni di anni sarà anche un argomento meno immediato ma è molto più solido.

Infine, tornando agli indecisi, su qualsiasi questione ci sono coloro che sono fermamente convinti di una delle due posizioni ma soprattutto un’area senza opinione o semplicemente poco informate che può essere più o meno estesa. Parlare con la “zona grigia”, accogliendo i dubbi, è la strategia più produttiva. Anche dialogare pubblicamente con chi ha un’opinione consolidata è utile, non tanto per convincere quella persona, ma per rispondere in modo pubblico alle perplessità degli indecisi.

Gli attacchi sui social dando dell’ignorante a chi spesso semplicemente non ha approfondito la questione servono solo a raggiungere un’effimera visibilità personale. O peggio ancora, a sfogare in qualche modo la propria aggressività repressa. Abbiamo di fronte una sfida cruciale che non ammette errori, nemmeno comunicativi: fallire significa mettere a rischio (grave) il pianeta e noi tutti.

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