Dagli interventi per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione di quello idrogeologico – beffa amarissima nei giorni in cui la Romagna è ancora alle prese con la conta dei danni causati dal disastro di due settimane fa – fino al piano Italia 5G. Sono le 120 misure del Pnrr per le quali il governo Meloni, nella relazione semestrale attesa in Parlamento, riconosce l’esistenza di “elementi di debolezza” che rendono necessario rimodulare gli obiettivi prendendo atto che alcuni target sono irrealizzabili. Le colpe? “Situazioni oggettive” come l’aumento dei prezzi e la difficoltà di trovare materiali, “fenomeni esterni” alla pa come la scarsa partecipazione ad alcune gare non attrattive e la “carenza di manodopera” ma anche inefficienze legate a “mancanza di risorse umane e carenza di competenze“, “scarso o mancato coordinamento” dei soggetti attuatori, ritardi autorizzativi, meccanismi di monitoraggio farraginosi e “inadeguati“. Questa categoria di problemi – normativi, amministrativi e gestionali – riguarda ben 60 investimenti e 16 riforme.

Qui il documento chiama in causa i peccati originali del piano e le eredità del governo Draghi, compreso il sistema di rendicontazione Regis che, come segnalato anche dagli enti locali, ancora non ingloba i vecchi progetti tirati fuori dai cassetti dei ministeri e riciclati nel piano. E non consente dunque, secondo la premier Giorgia Meloni e il ministro Raffaele Fitto, di avere un quadro affidabile del reale avanzamento della spesa (fermo a inizio maggio al 6,4% del totale, stando alla Corte dei conti). Nella relazione si ammette però, smentendo le dichiarazioni rassicuranti di Fitto, che “la maggior parte delle amministrazioni ha registrato un livello di spesa inferiore alle previsioni che denota un ritardo nella fase di definizione e avvio delle misure che potrebbe incidere sulla effettiva realizzazione dell’intero Piano con particolare riferimento al pieno raggiungimento degli obiettivi finali”. Ciliegina sulla torta, come quarto elemento di debolezza non mancano “refusi ed errori di traduzione” degli accordi presi con la Commissione e “possibili incompatibilità tra la concreta realizzazione delle misure e i requisiti specificati nei documenti”.

Ma quali sono i progetti a repentaglio? Le tabelle della relazione partono dal sub-investimento 2.1a della missione “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico”, che vale 1,2 miliardi da impiegare per mettere in sicurezza 1,5 milioni di persone residenti nei territori più fragili. Gli appalti andrebbero aggiudicati entro la fine di quest’anno ma, stando alla ricognizione del governo, la misura è in bilico perché risente di tutti e quattro i talloni d’Achille segnalati dalle amministrazioni coinvolte. Così come gli investimenti (600 milioni) in impianti fognari e di depurazione, anche questi di competenza del ministero dell’Ambiente guidato da Gilberto Pichetto Fratin.

Seguono nove misure con tre criticità: si va dallo sviluppo del biometano, la digitalizzazione dei parchi, il ripristino dei fondali marini e la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici galleggianti – che fanno capo ancora al Mase – alle linee di collegamento ad alta velocità “che collegano all’Europa”, competenza del dicastero di Matteo Salvini, che valgono 3,6 miliardi, passando per il piano da 2 miliardi per la diffusione di reti mobili 5G. Il ministero della Cultura è alle prese con le difficoltà del progetto Cinecittà e dei programmi per valorizzare parchi e giardini storici mentre quello dell’Interno ha per le mani la patata bollente dei 6 miliardi con cui i Comuni dovrebbero riuscire finanziare oltre 47mila piccole e medie opere per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica. Le difficoltà di quest’ultima misura sono una spia rossa non da poco se si considera che l’87% dei progetti del Piano è appunto medio o piccolo – vale meno di 1 milione di euro – e più di 76mila non arrivano a 70mila. Una frammentazione che “innesca l’insorgere di problematiche derivanti dalle carenze nella capacità dei soggetti attuatori di realizzare gli investimenti programmati e la capacità delle amministrazioni titolari di governare i processi mirati a soddisfare gli impegni assunti”.

Altre 43 misure scontano due criticità. Dentro ci sono tra il resto gli investimenti per le infrastrutture idriche primarie, su cui la Corte dei Conti ha già rilevato gravi ritardi del ministero, il programma Pinqua da 2,8 miliardi per housing sociale ed edilizia residenziale pubblica e la sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto stradale, uno degli obiettivi da raggiungere entro giugno che ha dovuto essere rinegoziato con Bruxelles perché il bando è stato un flop (le domande ammesse sono state solo 35, troppo poche rispetto alla disponibilità finanziaria). Per quanto riguarda il tormentato piano per la costruzione degli asili nido e scuole per l’infanzia, dopo la proroga della data di affidamento dei lavori si cercherà di “aggiudicare entro giugno il numero massimo di interventi” e per quelli in ritardo si proporranno “misure di attuazione rafforzata per consentire, comunque, il rispetto del target finale” di 264.480 nuovi posti entro fine 2025.

La relazione ostenta invece ottimismo sulla scadenza relativa all’aggiudicazione degli appalti per la costruzione di colonnine di ricarica per i veicoli elettrici. Di cui pure lo stesso ministero dell’Ambiente aveva chiesto il rinvio, dando per avviata una interlocuzione con la Ue per ottenerlo. A inizio maggio i magistrati contabili hanno scritto che l’obiettivo era “in serio pericoloe quel giudizio, arrivato insieme alla delibera che sanciva il “mancato conseguimento” del target per le stazioni di rifornimento a idrogeno, ha fatto infuriare Fitto scatenando la reazione sfociata nell’emendamento che abolisce il controllo concomitante sul Pnrr. Ora il governo tiene il punto e sostiene che il termine del 30 giugno sarà rispettato. I bandi chiudono il 9 giugno. In altri casi, come quello che ha riguardato il bando sulla meccanizzazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani, per la pubblicazione della graduatoria finale ci sono voluti mesi.

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