Il limite planetario di plastica e inquinanti chimici è stato superato e questo significa il rischio concreto di danni irreversibili per specie e salute umana. Come si è arrivati a questo? Siamo circondati da prodotti di plastica, alcuni impossibili (o quasi) da riciclare e altri – come arredamenti, sedie, penne, spazzolini, giocattoli, pettini, spugne, bacinelle – che la regolamentazione attuale non permette di riciclare. Di fatto, a livello globale, solo il 9% dei rifiuti di plastica viene effettivamente riciclato, mentre il 19% viene incenerito e circa il 50% finisce nelle discariche legali. Il restante 22% viene, invece, abbandonato in discariche abusive, bruciato a cielo aperto oppure disperso nell’ambiente. Ed è così che fino al 20 per cento dei rifiuti di plastica invade ogni anno mare, acque dolci e terra. In occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, il Wwf pubblica il nuovo report ‘Plastica: dalla natura alle persone. È ora di agire’, ricordando che l’Italia è tra i peggiori Paesi inquinatori che si affacciano sul Mediterraneo, contribuendo all’inquinamento soprattutto in qualità di secondo più grande produttore di rifiuti plastici in Europa. Ma la questione dell’utilità del riciclo nella gestione dei rifiuti è alla base di un dibattito quantomai acceso: basti pensare al recente report di Greenpeace Usa, secondo cui riciclare la plastica ne aumenta la tossicità.

I danni provocati dalla plastica – Come racconta il report, a fronte di una produzione in costante crescita, lo smaltimento della plastica è oggi ancora altamente inefficiente e inefficace. Il risultato è che fino a 22 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica entrano nell’ambiente marino e altrettanti nell’ambiente terrestre ogni anno, in gran parte plastica monouso. Inoltre, attualmente, la produzione di plastica è responsabile di circa il 3,7% delle emissioni globali di gas serra e si prevede che questa percentuale possa aumentare fino al 4,5% entro il 2060, se le tendenze attuali continueranno senza controllo. Già oggi, però “l’inquinamento da plastica in natura ha superato il ‘limite planetario’ (Planetary boundary), oltre il quale non c’è più la sicurezza che gli ecosistemi garantiscano condizioni favorevoli alla vita. Da qui la necessità di un Trattato globale contro l’inquinamento da plastica. Nei giorni scorsi è terminata a Parigi la seconda sessione del comitato sulla ‘Plastic Pullotion’, con i delegati di 175 Paesi che hanno concordato all’unanimità una risoluzione per fornire la prima bozza di trattato entro la fine del 2024. L’obiettivo è quello di diminuire la produzione globale annuale di plastica, che ha raggiunto i 460 milioni di tonnellate e potrebbe triplicare entro il 2060. Ma, anche in questa sede, non sono mancate le pressioni dell’industria (e dei Paesi) poco disposta ad andare diritta al punto: ridurre la produzione.

L’economia circolare, la gerarchia e il nodo riciclo – “Per attuare un cambio di rotta, ormai indispensabile, la soluzione è l’economia circolare in cui le materie prime, come la plastica, di un oggetto non più funzionante restino in circolo, in un lungo e possibilmente infinito succedersi di produzione e riuso/riciclo, eliminando le fasi di estrazione di materie prime e smaltimento” spiega Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia. La direttiva quadro sui rifiuti stabilisce normative e politiche per il trattamento dei rifiuti nell’Unione Europea e indica una precisa gerarchia, che rappresenta le priorità nella gestione dei rifiuti. Ai primi posti ci sono prevenzione e riutilizzo, seguiti da riciclaggio, recupero di altro tipo (per esempio il recupero di energia) e, solo come ultima spiaggia, lo smaltimento. Una gerarchia che è stata anche un faro nel corso della campagna ‘Carrelli di plastica’ condotta da ilfattoquotidiano.it e da Greenpeace Italia. Ma le priorità segnate dall’Unione europea sono tuttora campo di scontro, come mostrano le polemiche sul regolamento Ue per limitare gli imballaggi. “È necessario ridurre la produzione e l’uso della plastica non necessaria e dannosa, incentivare il riutilizzo e la riparazione dei prodotti in plastica puntando sull’innovazione” spiega il Wwf, secondo cui “è altrettanto importante estendere la raccolta differenziata a tutti i settori produttivi di largo consumo, oltre agli imballaggi, per incrementare le tipologie di oggetti che vanno al riciclo”. Un tema quantomai ‘caldo’, dato che proprio pochi giorni Greenpeace Usa ha pubblicato un rapporto, nel quale si sostiene che “la plastica riciclata aumenta la sua tossicità, comprimendo al suo interno livelli più elevati di sostanze chimiche come benzene, agenti cancerogeni, inquinanti ambientali e interferenti endocrini che possono causare cambiamenti nei livelli ormonali naturali del corpo”.

Quello che imballaggio non è – Presentando il nuovo report, il Wwf chiede però al governo di andare oltre il riciclo dei soli imballaggi e di estendere la raccolta differenziata a tutti i prodotti in plastica di largo consumo: “La plastica deve essere gestita in maniera più efficace ed efficiente, coordinata e integrata, coinvolgendo tutti gli attori, dalle istituzioni, alle aziende, fino alle persone e alle città in cui vivono”. Ma che fine fanno i prodotti in plastica che non possono essere riciclati perché non sono imballaggi, come previsto dalla normativa vigente? Per fare un esempio, in Italia ogni anno gettiamo 4mila tonnellate di plastica solo con il consumo degli spazzolini da denti. “Un quantitativo importante di plastica che oggi non viene riciclato e non contribuisce a creare nuovi oggetti” racconta il Wwf. Altri esempi: se potessimo riciclare una sedia da giardino potremmo ottenere fino a 2,8 chilogrammi di plastica riciclata, come riciclare 93 flaconi dello shampoo; con il riciclo di una bacinella per i panni potremmo ottenere fino a un chilo di plastica riciclata, come riciclare 500 tappi delle bottiglie dell’acqua; con un trasportino per gatti potremmo ottenere fino a 900 grammi di plastica riciclata, l’equivalente di riciclare 30 vaschette per le albicocche. “Senza un miglioramento nella gestione della plastica e dei suoi rifiuti, già entro il 2050 la quantità totale di plastica prodotta si è calcolato che potrebbe triplicare, con conseguente aumento dell’immissione di rifiuti di plastica nell’ambiente” spiega il Wwf, sottolineando che 12 miliardi di tonnellate di plastica potrebbero finire negli ambienti naturali. “Se accadrà – aggiunge – tra 30 anni nel mare ci potrebbero essere più plastiche che pesci”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

“Proteggere il 30% del Mar Mediterraneo entro il 2030”: all’appello di Greenpeace si uniscono anche gli attori di Mare Fuori

next
Articolo Successivo

Da medico dell’ambiente in Terra dei fuochi vedo l’impatto delle plastiche sui dati dei tumori

next