Istrionico, vulcanico, rustico, ruspante, verace, genuino, divertente, smisurato, estroso, schietto. Negli ultimi anni Massimo Ferrero è stato raccontato con una serie pressoché sterminata di aggettivi. E quasi tutti contenevano una sfumatura positiva. Perché, in un ambiente paludato come quello del pallone, l’uomo che in un torrido pomeriggio di giugno 2014 ha acquistato la Sampdoria è apparso subito uno in grado di far saltare il banco, di rompere gli schemi, di regalare quei titoloni di cui i giornali avevano disperato bisogno. O almeno così ripetevano in tanti. Fino a trasformare quell’idea un una speranza condivisa, prelibata esca per attirare click e alzare lo share. Nei primi anni della sua presidenza Ferrero è stato invitato ovunque. Sulle reti private, ma soprattutto sulla Rai. È salito sul palco di Sanremo, è stato ospite all’Estate in Diretta, ha partecipato a Ballando con le Stelle. Fino a guadagnarsi l’imitazione di Maurizio Crozza. Solo che a forza di ignorare tutti i grigi che la sua storia si portava dietro, l’imprenditore romano è diventato una maschera pop, il satiro di un decennio di sport tricolore. Ora che è stato travolto dai suoi guai, che la sua era da patron della Samp si è chiusa una volta per tutte, Ferrero resta uno impossibile da inquadrare. Perché è difficile capire dove finisce la persona e comincia il personaggio, dove il vero e il verosimile iniziano a mescolarsi insieme. In questi anni Massimo Ferrero è stato raccontato quasi soltanto da Massimo Ferrero. Così il suo miglior ritratto può essere tratteggiato solo imbevendo la penna nelle sue parole.
L’uomo venuto dal nulla
La sua storia parte da lontano, in quella Roma che all’inizio degli anni Cinquanta prova a soffiarsi via da dosso la cenere della Seconda Guerra Mondiale. Ferrero nasce a Testaccio, in un quartiere popolare dove secondo lui valeva solo a legge del Menga: “Chi ce l’ha nel culo se tenga, je piace?” (Il Fatto Quotidiano, 2010). Gli inizi sono difficili. I soldi non bastano mai. “C’è chi ha la mangiatoia a portata di bocca e chi si deve chinare fino a terra per mangiare: io sono tra loro e ne sono orgoglioso […] mio padre faceva il controllore dell’Atac, mia madre l’ambulante a Piazza Vittorio. Di studiare non mi fregava niente, poi uscì la legge dell’obbligatorietà e a scuola iniziai ad andare con la camionetta dei Carabinieri” (Il Fatto Quotidiano, 2010). Il rapporto con le forze dell’ordine resterà complesso ancora per diverso tempo. “Sono stato in carcere minorile quando avevo 14 anni e mia madre mi portava le sigarette di contrabbando in carcere. Non ho rapinato, non ho stuprato. Era solo una piccola storia adolescenziale. Io stavo con la figlia di un vigile urbano, ma il padre non voleva che stessi con lei perché era malato di mente. Mi ha fermato sul motorino e io gli ho dato uno schiaffo e lui mi ha portato in carcere” (Domenica In, 2019). Quando entra nel carcere minorile tutti lo conoscono come “Er Gatto“. Eppure Ferrero diventerà famoso come “Er Viperetta“. Inizialmente dice che è un nomignolo che gli era stato appiccicato addosso da Monica Vitti. Poi, qualche tempo dopo, cambia versione. “Ero ragazzo, un costumista mi chiese se volessi recitare con Pasolini: gli risposi magari, mi toccò il fondoschiena, io lo colpii e lui godendo per il dolore iniziò a dirmi: sei una vipera, continua” (Il Messaggero, 2017). Di botte ne voleranno ancora qualche tempo dopo. E ancora con le forze dell’ordine. “Sono di sinistra, ho fatto il ’68. Alle manifestazioni per i morti di Battipaglia io e i miei amici facemmo a botte con la polizia. Ventotto, ne mandammo a terra, Oggi come idea, voto D’Alema” (Il Fatto Quotidiano, 2010). L’infanzia difficile è un marchio a fuoco che Ferrero si porterà dietro per tutta la vita. E che per tutta la vita proverà a riscattare, in un modo o nell’altro. “Chi ruba a Ferrero, chi prova a fregarlo deve morire. […] Rubare è una cosa importante e ci vuole gente seria. Voi sapete solo lavorare […] Sono nato povero e morirò da povero ricco. Non temo nessuno, non scendo a compromessi e mando affanculo chiunque, anche se di cognome fa Berlusconi […] Ora non giro mai con meno di quindicimila euro” (Il Fatto Quotidiano, 2010).
Sampdoria
Dopo una vita passata nel cinema, però, Ferrero diventa davvero famoso nel giugno 2014, quando acquista la Sampdoria da Garrone. La prima conferenza stampa si trasforma subito uno show scomposto. “Io vengo dal nulla e ho comprato la Sampdoria perché dopo di lei c’è il nulla”, dice. “Quello blucerchiato sarà un film paragonabile a Ben Hur“, giura. L’idillio dura poco. Perché qualche minuto più tardi Ferrero dice di voler abbandonare “Lettera da Amsterdam”, l’inno dei New Troll diventato iconico: “La prima cosa che faccio alla Samp è cambiare l’inno che fa schifo, non come quello della Magica che è una delle cose più belle di Roma” (Il Secolo XIX, 2014). Sembra una boutade, invece è un pensiero fisso per il presidente, tanto che qualche mese dopo, ospite di Fabio Fazio, tornerà sulla vicenda: “Dicono che io abbia detto che fa schifo. La verità è che quest’inno è antico. Ma qui non cambia niente nessuno, siamo rimasti agli Anni 60: non è che va cambiato, va migliorato. Sembra la favoletta di Pinocchio o una filastrocca di Cappuccetto Rosso: ricordiamoci che è calcio, ci vuole energia” (Che Tempo che Fa, ottobre 2014). Il rapporto con i suoi allenatori è spesso complicato. Ma non con Sinisa Mihajlovic. Quando Er Viperetta acquista la Samp il serbo è già in sella. E il nuovo presidente decide di confermarlo. È una scelta che si rivela più che azzeccata. La squadra chiude settima, fra i due nasce un rapporto particolare. “Mihajlovic è come Don Matteo, è l’eroe della Samp. Lui è il papà di questi giocatori, io posso essere la mamma”, spiega il presidente (Il Secolo XIX, 2014). A fine anno, però, il Milan vuole affidare la panchina al serbo. È l’inizio di un teatrino che dure qualche mese, anche se tutti sanno già come andrà a finire la questione. “Ma dove va Mihajlovic? Qui ha trovato il sole dentro. A Milano che ci va a fare, c’è la metropolitana che puzza“, garantisce Ferrero. E ancora: “Mihajlovic ha cantato una canzone d’amore, ho dovuto accettare la sua permanenza”. Poi però Sinisa firmerà per il Diavolo. Così il presidente decide di puntare su Walter Zenga. “Adesso ho trovato il vero uomo per me. Che non è che sono l’Uomo Ragno, levate sto ragno, non fa mica più il portiere, che come portiere era una pippa, come allenatore è bravo. Chi altri dovevo scegliere? Guidolin? L’ho chiamato ed era depressissimo. Zenga ha fame”. La loro storia durerà solo 12 partite. Poi Walter verrà esonerato ottenendo in cambio un semplice: “Zenga? Non era l’uomo per me”. Fra gli acquisti più importanti dell’era Ferrero c’è Eto’o, un giocatore straordinario arrivato però quando la sua stella era già eclissata. “Me lo sono meritato Eto’o perché me lo sono andato a prendere a Londra, l’avevo scambiato per un cameriere“, dice. Eppure secondo qualcuno l’ex Inter non è felice in blucerchiato. Ferrero va su tutte le furie e risponde a modo suo: “Il mal di pancia di Eto’o? Non è una donna, non è incinta!”.
Come Dante e Beatrice
Proprio il rapporto con le donne è un altro tema fondamentale della gestione Ferrero. Il 3 agosto del 2014 il presidente lancia una sua “innovazione”. Via i bambini a bordocampo. A fare da raccattapalle ci sono delle ragazze. Tutte molto giovani. Tutte molto attraenti. A settembre, prima del suo primo derby da presidente, si lancia in una dichiarazione a Ilaria D’Amico di Sky (peraltro assente): “Volevo salutare la D’Amico: gli volevo dire che c’ho l’anello ar dito, c’ho il mosquito e la vorrei portare a Ostia lido. Ciao D’Amico!”. È l’inizio di un tormentone che si arricchisce settimana dopo settimana. Prima della sfida contro il Palermo, Ferrero torna davanti alle telecamere. “Ciao Ilaria, sei la donna che fa il pallone, ma quando vorrai fare l’attrice ti faremo fare un grande film“, giura provando a imitare il dialetto siciliano. A ottobre è finita. Ferrero capisce che non può più insistere. “La D’Amico non se po’ più nomina perché s’arrabbia – dice – Dopo Buffon l’ha cazziata… basta la D’amico, mi s’è rotto il Mosquito”. Poco male. Er Viperetta replicherà il suo show con la Calcagno, giornalista e conduttrice Mediaset: “Mikaela, tutta bionda mi voglio vestire, ciao Premium! Siete i number one! Ciao Mikaela, c’hai un bel vestitino, sta a fa’ concorrenza alla D’Amico”. Il peggio, però, deve ancora venire. A gennaio, proprio parlando con Calcagno, Ferrero dice: “Faccio la corte a Montella in tempi non sospetti e daje e fake, anche le cipolle diventano ajo. È venuto per sfinimento. È come ‘na bella donna, no? Alla fine, gira e rigira, poi la sgancia, no?”. In studio scende il gelo. Proprio come quando in un post partita Er Viperetta se la prende con la scarsa vena dei suoi attaccanti dicendo: “La porta è come una donna. Va penetrata, non va discussa!”.
Colleghi
Ma una delle attività preferite di Ferrero è quella di usare toni dissacranti per parlare degli altri presidenti della Serie A. E ne ha per tutti: Lotito (“È un vulcano. Il suo nemico? Se stesso”), Zamparini (“Rosica perché lui è un grande esperto e non ha vinto niente, io invece voglio rimanere inesperto e vincere qualcosa”), Cairo (“Come si dice a Roma ha i soldi di cioccolata, cioè li metti in tasca e si squagliano. È tirchio. Io invece vengo dalla povertà e sono come Robin Hood, ma non rubo un cazzo, si sono già rubati tutto”). Il suo rapporto con Preziosi, allora numero uno del Genoa, è complicato. “Ogni volta che mi cita dovrebbe pagare i diritti d’autore. È sempre in cerca di attenzioni, forse vuole conquistarmi, non vorrei ingelosire Galliani”, giura Ferrero, che poi afferma di aver vinto 1200 euro al presidente del Genoa giocando a scopetta. Peccato che Preziosi abbia sempre smentito. La battuta peggiore, però, arriva nell’ottobre del 2014. A Stadio Sprint Ferrero commenta le dimissioni di Massimo Moratti da Presidente onorario dell’Inter. E lo fa a modo suo. “Ho detto a Moratti: caccia via quel filippino! Se ero Moratti io gli avevo dato due pizzicotti sulle orecchie”. Il “filippino” sarebbe Thohir, nuovo proprietario del club nerazzurro, nato per giunta a Giacarta, in Indonesia. Le scuse non servono a niente. Ferrero viene inibito per tre mesi, ma non si rassegna. Prima si presenta davanti alle telecamere con la bocca tappata con del nastro adesivo. Poi ai microfoni di 90° minuto si lascia scappare: “Mi hanno umiliato dandomi del razzista“. Qualche tempo dopo Ferrero dimostrerà di non aver capito chiaramente i motivi della sua inibizione, accostando la sua vicenda al litigio fra Sarri e Mancini del 2016, quando l’allora tecnico del Napoli si rivolse a Mancini con degli insulti omofobi. “Io leggo sul giornale che dicono che lui ha detto frocio a coso – spiega Ferrero – Dice non è frocio quindi non è colpevole. Io ho detto filippino. Quello non è filippino e so’ colpevole. Siamo a Scherzi a Parte qui?”. Nel 2015 il presidente del Catania Pulvirenti confessa di aver comprato 5 partite. In diretta a La Zanzara, su Radio 24, Ferrero commenta: “Pulvirenti fa schifo, mi fa ribrezzo. Buttare la chiave? No, deve morire, è finito, non deve esistere, deve essere radiato lui, la squadra, tutto. È gentaccia. Non esiste, deve morire, non si deve salvare nessuno di questi”.
L’ultima frase di Ferrero da presidente della Sampdoria è stata: “Mi rimpiangerete“. Ma a giudicare dagli striscioni che gli sono stati dedicati, i tifosi blucerchiati la pensano in maniera molto diversa.