“Pronto è la Polizia postale, lei ha commesso un reato”. Telefonavano alle vittime spacciandosi per agenti della Polizia postale e facevano credere loro di aver commesso dei reati online, che avrebbero potuto estinguere versando delle somme su una carta Postepay. A orchestrare il giro di truffe era un 43enne che ha scelto il patteggiamento e ora deve scontare 4 anni in carcere e già detenuto per una condanna definitiva. Sedici i presunti complici – difesi, tra gli altri, dagli avvocati Fulvio Violo, Roberta Rossetti e Alice Abena – che invece hanno scelto il rito ordinario e devono rispondere tutti di truffa davanti al Tribunale di Torino per episodi che risalgono al 2017.
Alcuni avrebbero messo a disposizione la carta di credito e il proprio nome, altri avrebbero chiamato materialmente le vittime, che erano accomunate dall’essere iscritte a siti come Subito.it e Bakekaincontri.com, totalmente estranei agli illeciti. Al telefono il sedicente poliziotto le informava di aver commesso gravi irregolarità e minacciava conseguenze pesanti se non avessero pagato immediatamente una sanzione pecuniaria. I malcapitati a quel punto venivano indotti a fare dei versamenti restando in linea per timore di compromettere il “ravvedimento” se avessero riattaccato. Le somme richieste andavano fino a oltre 3mila euro a testa e dovevano essere accreditate con bonifici o ricariche in tabaccheria su carte prepagate intestate ai complici. La leva usata per ottenere il denaro era “il timore di un pericolo immaginario” e “l’erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell’Autorità”. Gli imputati ricorrevano a un campionario di minacce ampio e fantasioso: processi penali, arresti, l’accensione di un’ipoteca sulla casa, l’interdizione dall’Università e dalla possibilità di sostenere esami.
A una delle vittime era stato contestato un annuncio “pornografico” su una bacheca di incontri, un’altra aveva versato 400 euro dietro la minaccia di essere separata dalla figlia minorenne. Il tutto corroborato da false denunce con i loghi della Polizia di Stato inviati via sms. In un caso, mentre era in corso la chiamata del sedicente poliziotto, sull’altra linea i Carabinieri erano a un soffio dallo sventare la truffa. “Il signore all’altro capo mi disse di non rispondere alla chiamata e che avrebbe verificato lui stesso il numero – ha raccontato in aula una donna – Perciò gliel’ho dettato e lui mi ha detto che era un call center”. Una volta versato il denaro e riagganciato, non c’è stato verso di ricontattare il telefonista.