“Sembrava di entrare in un girone dantesco. Gli operai erano usurati da una lavorazione dove convivevano umidità e polverosità. La polvere di amianto si vedeva a occhio nudo e si depositava sulle nostre tute”. Nicola Pondrano ha iniziato a lavorare in Eternit nel 1974, a 24 anni. Ogni settimana i manifesti funebri appesi all’ingresso cambiavano. “Mario era morto a 56 anni, Giovanni a 54, Andrea a 51, erano tutte persone che perdevano la vita in età lavorativa”. Una spoon river delle vittime di amianto, uccise dal mesotelioma pleurico. Secondo l’Afeva, l’associazione che raccoglie i familiari delle vittime di amianto, tra il 1990 e il 2018 nella sola Casale Monferrato sono morte per mesotelioma più di 1200 persone. Ma se si allarga il raggio agli stabilimenti di tutta Italia il numero delle vittime supera i 3mila. Non solo operai ma anche cittadini. Maria Pastorino gestiva una panetteria a 200 metri dall’ingresso dell’Eternit. All’inizio e alla fine del turno gli operai con le loro tute impolverate venivano a rifornirsi di panini. Si è ammalata di mesotelioma nel 2001. “Fin dal primo giorno lei stessa ha pensato che fosse un’ingiustizia verso una persona innocente quand’era ancora in vita chiedeva giustizia per una morte che sapeva sarebbe avvenuta inesorabilmente” ricorda la figlia Giovanna Patrucco che ancora oggi si commuove quando pensa alla lotta di sua madre. “Non è una questione personale con l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny – conclude la donna – ma è una questione di giustizia. Abbiamo bisogno di stabilire un punto certo dove ci siano delle responsabilità certe”.