Il delitto di Senago è senza dubbio uno dei casi di cronaca nera che maggiormente hanno scosso l’opinione pubblica negli ultimi anni; perché, se è vero che riguarda ancora una volta un caso di femminicidio, è anche vero che la figura del carnefice ci restituisce il ritratto di un ragazzo che, almeno all’apparenza, si era sempre dimostrato gentile e disponibile con chi lo conosceva, nonché impeccabile e professionale con i clienti del prestigioso locale in cui lavorava come barman nel centro di Milano.
Alessandro Impagnatiello, 30 anni, era fidanzato e conviveva con Giulia Tramontano, 29 anni, la coppia aspettava un bambino che sarebbe nato fra un paio di mesi ma Giulia non era l’unica donna di Alessandro, che intratteneva un’altra relazione con una collega di 23 anni. La ventitreenne, dopo essere rimasta incinta di Alessandro, era stata costretta ad abortire e, inizialmente ignara della doppia vita dell’uomo che stava frequentando, negli ultimi tempi aveva deciso di incontrare Giulia per un chiarimento e un confronto fra due donne che avevano avuto la sfortuna di innamorarsi della stessa persona e di cadere vittime della sua rete di bugie e inganni.
Fin qui la storia potrebbe somigliare a tante altre, fin qui ci troviamo di fronte ad un uomo che rifiuta di prendersi le sue responsabilità e porta avanti due relazioni contemporaneamente, sperando che nessuna delle due partner venga a scoprirlo. Un uomo che male accetta frustrazioni e rimproveri e quando viene messo di fronte al fatto che Giulia e A. hanno scoperto dell’esistenza reciproca persevera nella negazione della realtà e inventa menzogne sempre più insostenibili, come il fatto di non poter chiudere la relazione con Giulia perché lei sarebbe bipolare e il figlio che porta in grembo non sarebbe suo – come dimostrato da un falso test del dna che Impagnatiello ha pure l’ardire di mostrare ad A.
Che cosa ha fatto scattare la furia omicida di quest’uomo quando Giulia, dopo l’incontro e il chiarimento con A., gli dice di volerlo lasciare? Che cosa lo ha portato ad ucciderla senza pietà con due coltellate alla gola e una sotto il seno e a provare a ridurre in cenere il suo corpo nella vasca da bagno? Come fa un bugiardo narcisista a trasformarsi in un assassino capace di nascondere il corpo della fidanzata in un’intercapedine fra due garage e a simulare per giorni che sia fuggita di casa in preda all’ira, incinta di sette mesi, senza dare notizie a nessuno, nemmeno ai propri genitori?
Dopo averla uccisa, Alessandro continua a mandarle messaggi sul suo cellulare supplicandola di tornare, lagnandosi della presenza dei giornalisti sotto casa che lo molestano e rinfacciandole che una brava madre non se la svignerebbe mai in quel modo. Sono domande a cui è difficile dare una risposta se non ammettendo che il male esiste e che un soggetto affetto da narcisismo maligno patologico può arrivare a commettere un omicidio tanto efferato senza mostrare alcun pentimento o commozione durante l’interrogatorio che ha preceduto il suo arresto.
La Procura, che inizialmente aveva escluso la premeditazione, in queste ore sta tornando sui suoi passi perché gli inquirenti hanno appurato che Impagnatiello, parecchi giorni prima dell’omicidio, ha cercato in rete notizie su come il veleno per topi agisca sugli esseri umani; inoltre l’autopsia sul corpo della vittima potrebbe fornire elementi in grado di mutare i capi di imputazione. Se fino a questo momento Impagnatiello è accusato di omicidio volontario aggravato dal legame affettivo, interruzione di gravidanza senza consenso e occultamento di cadavere, l’esame autoptico stabilirà se Giulia è morta subito o se c’è stata agonia e il bambino si sarebbe potuto salvare se soccorso in tempo. Un particolare che escluderebbe il delitto con dolo d’impeto, perché se si fosse trattato di un raptus il carnefice avrebbe potuto rendersi conto di ciò che aveva commesso e chiamare un’ambulanza con la possibilità di soccorrere Giulia e in ogni caso indurre la nascita del bambino.
Ma un particolare importante anche – secondo alcune ricostruzioni – per appurare se il feto era pronto per nascere, in modo da stabilire la qualificazione dello stesso come persona giuridica e determinare l’imputazione di duplice omicidio. Un elemento che, oltre a garantire il massimo della pena e ad allontanare l’eventualità di possibili attenuanti, renderebbe giustizia non solo alla povera Giulia, ma anche al bambino che portava in grembo e che sarebbe venuto alla luce tra qualche settimana.