A poco più di un mese dalla richiesta di archiviazione, il Tribunale dei ministri a Brescia ha archiviato le posizioni dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza indagati nell’inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione della prima fase della pandemia in Val Seriana. Ventinove pagine in cui i giudici demoliscono l’impianto accusatorio: dalla impossibilità di configurare l’epidemia alla mancanza di prove per i 57 decessi contetstati. I pm di Bergamo avevano chiuso l’indagine lo scorso 2 marzo. I giudici del tribunale dei ministri – tutti civilisti, con la presidente Maria Rosa Pipponzi presidente della sezione Lavoro – hanno quindi accolto la richiesta di archiviazione “perché il fatto non sussiste” accogliendo la linea della Procura di Brescia.
Le 57 morti contestate e la mancanza di prove – “Va innanzitutto detto che agli atti manca del tutto la prova che le 57 persone indicate nell’imputazione, che sarebbero decedute per la mancata estensione della zona rossa” ai comuni di Alzano Lombardo e Nembro, nella Bergamasca, “rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero state se fosse stata attivata la zona rossa” si legge nel provvedimento. Che l’indagine potesse avesse poco respiro – rispetto ai precedenti casi di contestazione del reato di epidemia colposa – era stato chiaro anche al procuratore capo di Bergamo. Il magistrato, Antonio Chiappiani, aveva dichiarato che di fornte alle tantissime morti e alle consulenza non si poteva chiedere l’archiviazione.
Il reato non configurabile –Uno dei dei nodi principali era proprio il reato di epidemia colposa. “Non è configurabile il reato di epidemia colposa in forma omissiva in quanto la norma in questione abbraccia la sola condotta di chi per dolo o per colpa diffonde germi patogenie quindi la responsabilità per omesso impedimento di un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire risulta incompatibile con la natura giuridica del reato di epidemia” scrive il tTibunale dei ministri nelle 29 pagine di archiviazione di Conte e Speranza. Lo stesso procuratore di Bergamo all’indomani della chiusura indagine aveva dichiarato. “Stando alla Cassazione, c’è un problema di configurabilità, ne siamo pienamente consapevoli. (…) Magari qualcuno sarà prosciolto, qualche posizione sarà archiviata, o magari i giudici riterranno che sull’epidemia colposa non si debba procedere“.
L’articolo 438 recita: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”. Non essendo diversamente specificato, però, questo comportamento è punibile solo se doloso, cioè compiuto intenzionalmente: l’esempio è quello di chi versa una fiala contenente virus nelle condotte dell’acqua. E infatti il reato contestato dai pm di Bergamo è un altro: l’articolo 452, secondo cui “chiunque commette per colpa” il reato di epidemia rischia da tre a 12 anni di carcere (se ne deriva la morte di più persone). Ad esempio: una persona esce di casa per andare a lavorare consapevole di avere una grave malattia infettiva. La fattispecie dell’articolo 438 è “a condotta vincolata” (e non “libera”) nel senso che il comportamento punibile è descritto con chiarezza: non basta causare l’epidemia, ma serve farlo “mediante la diffusione di germi patogeni”. I politici e i tecnici indagati, però, non erano accusati di aver “diffuso” il virus del Covid con una condotta attiva. Bensì – di fatto – di quello che tecnicamente si chiama reato omissivo: cioè di “non aver impedito” una diffusione già in atto, pur avendone l’obbligo.
“Irragionevole istituzione zona rossa il 2 marzo – All’ex premier veniva contestata la mancata istituzione della zona Rossa nella Bergamasca ad Alzano e Nembro. Ma visto che “non risulta che il Presidente del Consiglio Conte, prima del 2 marzo 2020, fosse stato informato della situazione dei comuni di Nembro e Alzano Lombardo, stando all’imputazione” lui “avrebbe dovuto decidere, circa l’istituzione della zona rossa” il giorno stesso. E secondo il tribunale dei Ministri “si tratta, evidentemente, di ipotesi irragionevole”. Nell’ordinanza la presidente Maria Rossa Pipponzi precisa che “si tratta, evidentemente, di ipotesi irragionevole perché non tiene conto della necessità per il Presidente del Consiglio di valutare e contemperare i diritti costituzionali coinvolti e incisi dall’istituzione della zona rossa. Ed infatti l’istituzione della zona rossa comporta il sacrificio di diritti costituzionali quali il diritto al lavoro, il diritto di circolazione, il diritto di riunione, l’esercizio del diritto di culto”.
“Omicidio colposo? Mera teoria” – Anche per quanto riguarda i decessi contestati, 57 persone morte durante i primi drammatici giorni della pandemia, il Tribunale ha archiviato le posizioni perché la “contestazione dell’omicidio colposo in relazione alla morte delle persone indicate in imputazione si basa (…) su una mera ipotesi teorica sfornita del ben che minimo riscontro”. L’affermazione si fonda sul fatto che, per i giudici, Andrea Crisanti, il microbiologo e consulente dei pm, “ha compiuto uno studio teorico ma non è stato in grado di rispondere” sul “nesso di causa tra la mancata zona rossa e i decessi”.
“Piano pandemico inefficace, ma Speranza mai inerte” – Per il tribunale dei ministri di Brescia, “il piano pandemico del 2006 non era per nulla adeguato ad affrontare la pandemia da Sars-CoV-2. Il professor Merler e il dottor Greco, tra gli autori del Piano del 2006, nelle sommarie informazioni da loro rese, si sono espressi in termini drastici circa l’inutilità di quel piano per affrontare la pandemia“. Motivando l’archiviazione dell’ex premier Conte e dell’ex ministro Speranza, i giudici aggiungono però che: “il ministro Speranza, lungi dal rimanere inerte, ha adottato le misure sanitarie propostegli dagli esperti di cui si è avvalso, che peraltro, a livello europeo, sono state tra le più restrittive. Infine, anche ove fosse astrattamente prospettabile, cosa che non è, il reato di epidemia colposa per condotta omissiva impropria, data la natura stessa della pandemia da Sars-CoV-2, che ha coinvolto l’intera umanità, sarebbe comunque irrealistico ipotizzare che la stessa sia stata cagionata, anche solo a livello nazionale, da asserite condotte omissive quali quelle contestate al ministro Speranza”. Inoltre “non risulta” che Roberto Speranza “abbia indotto i dirigenti ministeriali a ritardare od omettere le azioni di sorveglianza epidemiologica, di sanità pubblica, di verifica delle dotazioni dei dispositivi medici e delle risorse necessarie a contrastare la diffusione virale” o “a curare i pazienti e, infine, di formazione del personale sanitario”. Le “omissioni e i ritardi” descritti dalla Procura di Bergamo “riguardano attività amministrative, distinte dalle funzioni ministeriali di indirizzo politico-amministrativo, di esclusiva pertinenza del Segretario generale del ministero della Salute e delle Direzioni generali” e “non è stata ipotizzata – scrivono i giudici – e non è comunque ravvisabile negli atti di indagine compiuti, alcuna interferenza del ministro nell’attività degli organi burocratici ai quali spettava la funzione di amministrazione attiva”.
“Il Covid come la Spagnola” – “Va (…) ricordato che l’Italia e il mondo intero hanno affrontato una situazione epidemiologica paragonabile, per la sua estensione, solo alla Spagnola del 1918, in cui peraltro, data la guerra in corso, la preoccupazione, almeno nei paesi belligeranti, non era certo quella di istituire zone rosse o simili” scrivono i giudici che nel provvedimento osservano, che “i governi di tutto il mondo, compreso quello italiano, hanno quindi affrontato una situazione epidemiologica caratterizzata da assoluta novità”. A ciò si aggiunge il fatto che “le indicazioni dell’Oms e le valutazioni del Cts e in generale degli organi consultivi del Governo, sono state caratterizzate da fluidità e mutevolezza“.
Epidemia colposa e omicidio colposo plurimo – Il fascicolo era stato trasferito per competenza al Tribunale dei ministri. L’attuale leader del M5s e il deputato erano stati interrogati lo scorso 10 maggio. Durante il loro esame, come riferito dalle difese, avevano ricostruito, spiegato e chiarito i motivi delle loro decisioni per cui ora sono stati indagati, con altri 17 (tutti trasferiti per competenza funzionale al Tribunale dei Ministri), nell’inchiesta della Procura di Bergamo per la mancata istituzione di una zona rossa per isolare i comuni di Nembro e Alzano Lombardo e per la mancata applicazione del piano pandemico che, seppur datato 2006, per la magistratura poteva limitare i danni e salvare parecchie vite. Per loro le accuse erano epidemia colposa e omicidio colposo plurimo. Conte e Speranza, tramite i loro legali, avevano anche depositato una memoria e Speranza in una sorta di dichiarazione spontanea, ribadendo l’estraneità di ogni addebito, affermando di non aver applicato il piano pandemico del 2006 in quanto, tutta la comunità scientifica lo riteneva totalmente inefficace per combattere il coronavirus.
L’inchiesta e gli altri 17 indagati – Nel registro degli indagati della procura di Bergamo erano finiti anche il presidente della Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore al Welfare, Giulio Gallera, rimasto fuori dal Consiglio regionale nell’ultima tornata elettorale. E ancora il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro; il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo; l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli. In totale 19 persone tra cui anche dirigenti sanitari e funzionari regionali. Tra le contestazioni, a vario titolo, c’erano le tardive richieste di mascherine e guanti, la zona rossa non istituita in Val Seriana e “lo scenario più catastrofico” non considerato. Oltre all’epidemia colposa contestato anche l’omicidio colposo e il contagio dei sanitari, le bugie sulla sanificazione del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo.