Definite(ly) Maybe. Perché non si può mai sapere se due come loro torneranno sul palco insieme. Dicono che il primitivo e irresistibile motore delle reunion siano i soldi, e io tendo a crederci. Ne avranno bisogno bisogno Liam e Noel Gallagher, il secondo autore del 90% delle canzoni degli Oasis? Definite(ly) Maybe. C’è una parte di mondo che ha conosciuto gli Oasis perché ha capito che certi brani non solo avevano la stazza dei classici fin dal primo ascolto e non solo si potevano cantare – anche senza sapere l’inglese – ma si potevano persino suonare. Il bene che ha fatto la band di Manchester ai rivenditori di chitarre.
Chi non suonava e non cantava, sentiva il fratello o la sorella suonare e cantare dalla camera accanto. Qualcosa definiremmo generazionale non fosse che, appunto, stiamo parlano di classici e i classici le generazioni le scavalcano [Definitely Maybe e più ancora (What’s the Story) Morning Glory?]. Ai concerti degli Oasis si cantava così forte da far cascare per terra una supernova. E si cantava con lui, che le canzoni non le scriveva ma aveva una voce necessaria. Necessaria. Liam, bellissimo, incazzato, viziato, molto ricco, famoso, eccessivo.
Pure oggi lo è, eccessivo, a tratti imbarazzante ma di certo fedele a se stesso con quelle sequele di tweet che fanno tanto “personaggio”. “Ascolta Noel, so che guardi i miei tweet, chiamami, sono preoccupato per te. Siamo tutti preoccupati per te, non sembri più tu. Dai ragazzone, chiamami”, ha scritto poco fa. E quell’altro, quello calmo (più calmo), posato (più posato) non ha mica risposto. “È sempre colpa mia”, ha chiosato Gallagher junior ribattendo ai commentatori che a lui danno la colpa di una mancata reunion.
Poteva andare peggio, perché per due che hanno cambiato la storia della musica (aspetto quelli che hanno 10 vinili ben spolverati e stanno lì ‘pronti a scattare’ appena sentono parlare bene degli Oasis) non è bellissimo questo continuo battibeccare ormai logoro, senza manco uno schiaffone fraterno, lì a girare intorno a un concertone che mai si farà o forse sì (in tempi in cui un sold-out non si nega nemmeno al mio cane Lando, qui sarebbe certo, sicuro, straripante, mai abbastanza). Dicevo, poteva andare peggio. O meglio. Ma accade raramente, che vada meglio: le rockstar che non muoiono giovani di solito invecchiano lasciando macerie di nostalgia, tristezza e un saporaccio di birra sgasata. Poi c’è Damon Albarn, un dinosauro che vive nel futuro.
Quindi così, avanti con questa eterna bagarre che ai due Gallagher si concede volentieri per le cantate che ci siamo fatti e ancora ci facciamo. E anche perché a due giorni da una finale di Champions Inter-Manchester City c’è da scommettere che siano agitati. Nervosetti. Meglio non provocarli.