Politica

Né in Meloni né in Elly Schlein vedo realistiche speranze di un cambio di marcia

L’entusiasmo per la novità di una scena politica nazionale occupata da due fanciulle – la “puffetta mannara” premier Giorgia Meloni e “l’ospite in casa d’altri” (il Pd) Elly Schlein – può contagiare soltanto le cultrici delle quote rosa; come la femminista burocratica Lilly Gruber o quella birignao Concita De Gregorio, teoriche di un’emancipazione di genere come scalata all’organigramma. Non certo chi spererebbe che la valorizzazione di quanto un tempo chiamavamo “l’altra metà del cielo” comporti un radicale cambio di valori nelle tavole della politica (come – ad esempio – ci dimostrano recenti vicende iberiche, su cui si ritornerà più avanti).

Restando alle asfittiche vicende di casa nostra, si può facilmente notare come le due succitate fanciulle introiettino il peggio della politica politicante al maschile; tanto da non accreditare il loro avvento di nessuna realistica speranza nel cambio di marcia in una vita pubblica che imbruttisce giorno dopo giorno. O meglio, incanaglisce.

Poche parole sulla pasionaria della Garbatella, in cui si mescolano i furori da emarginazione dell’ultra-destra tenuta per un tempo interminabile (tre quarti di secolo?) lontano dai piani nobili del Palazzo (per cui l’appellativo “nostalgica”) e le pratiche opportunistiche di stampo marchettaro su cui ha tenuto banco il ventennio berlusconiano. Da qui l’emulsione inquietante dell’ansia da rivincita che diventa assalto a ogni pur minimo frammento di potere, producendo distruzione dello spirito repubblicano con tutte le sue conquiste di civiltà e – insieme – cancellazione delle regole democratiche, miscelata nella messa in atto di una campagna elettorale permanente, in cui scatenare la propria vis demagogica; l’impegno profuso nel consolidamento delle posizioni acquisite che ha come seconda faccia l’assoluta inabilità a governare. Dunque, sgoverno distruttivo.

Contro questa calata dei barbari reazionari, sotto i vessilli di una prima ministra che vuole le si rivolga al maschile, contro questa distruzione della ragione a mo’ di barzelletta, la speranza dell’ultima difesa era rappresentata dal restyling del Partito Democratico che eleggeva per segretaria una outsider. Che si è premurata di smentire subito ogni aspettativa, dando conferma dell’antico adagio, iscritto nel dna dei politicanti in carriera che bivaccano nel campo del fu centro-sinistra nazionale: “la furbizia è il peggior nemico dell’intelligenza”. Ossia il calcolo a breve delle convenienze anteposto a ogni iniziativa lungimirante. La prudenza che rifugge dal rischio per giocare sul sicuro, privilegiando il mantenimento aggrappato allo status quo rispetto alla sfida coraggiosa che può cambiare davvero le cose.

Difatti i nostri politici pesafumo, abbarbicati alle stanze e stanzette del potere come le cozze a uno scoglio, alla Andrea Orlando, Enrico Letta o Dario Franceschini, probabilmente considerano una testa matta – peggio, un kamikaze – il premier spagnolo Pedro Sanchez che – dopo le recenti amministrative stravinte dalla Destra – non ci sta a vivacchiare per sei mesi e indice elezioni prima del tempo per sfidare l’avversario guardando dritto negli occhi l’elettorato del suo Paese. Esattamente l’opposto della tenera Schlein, che si arrampica sugli specchi del dire-non-dire per non prendere posizione. E non diventare bersaglio dell’opposizione interna (i lasciti renziani, mimetizzati nel partito come gli Harkonnen nei meandri di Arrakis-Dune). Per cui ci si nasconde nel più vieto e incomprensibile gramelot politico, si pratica l’arte condiscendente e corriva di addivenire su posizioni contrarie a quelle dichiarate; la gag del subire obtorto collo.

In fin dei conti bordeggiare il luogo comune senza intraprendere una vera navigazione. Sempre con quell’espressione imbarazzata di chi sembra camminare sulle uova. Il terrore di dire qualcosa “poco conveniente”. Secondo un altro immortale principio della politica disossata, priva di spina dorsale: “in politica meno si dice meglio è”. La Schlein come perfetta personificazione della celebre battuta di John K. Galbraith: “La carriera dell’uomo politico inizia con l’indurlo a tenere a freno la lingua e finisce, col tempo, nel fargli tenere a freno i pensieri”.

Se invece di ispirarsi – di fatto – a una lunga tradizione di pesci in barile democristiani, la nostra segretaria sulle uova avesse volto gli occhi verso Barcellona, poteva trarre lezione dall’alcaldesa – la sindaco Ada Colao – che ha rischiato di farcela ancora una volta per un pelo (cento voti) nella catastrofe degli Indignados; comunque lasciando l’esempio di una politica sanamente al femminile. Contraria all’individualismo aggressivo dei maschietti per costruire la nuova società della sorellanza.