Il climate change ci presenta il conto, ma l’ombrello delle assicurazioni l’Italia non ce l’ha. L’ultimo a prometterlo è stato il ministro Giorgetti giusto l’anno scorso, ma prima di lui erano stati Draghi e tanti altri. A ogni catastrofe naturale, salta fuori che solo il 5% delle case è assicurato contro eventi naturali avversi. E a ben vedere, solo una frazione di queste estende le coperture al rischio di terremoti e alluvioni. Che siano gli uni o gli altri, il risultato è che a ricevere un indennizzo per risollevarsi sono pochi proprietari che possono permettersi il lusso di una polizza “eventi climatici” che meno diffusa è e più costa, proprio come sta accadendo in Emilia-Romagna dopo l’alluvione, cosicché il costo implicito per ricostruzioni e indennizzi è caricato sulle spalle di tutti gli italiani, compresi quelli che una casa neppure ce l’hanno, coi risultati che sappiamo: l’Ufficio speciale per la ricostruzione dell’Aquila ad aprile ha certificato che a distanza di 14 anni dal sisma la ricostruzione privata nel cratere è all’84%, mentre metà dei 2,3 miliardi per interventi di ricostruzione finanziati dallo Stato deve essere ancora erogata.

Per aumentare il patrimonio assicurato “basterebbe” – il condizionale è d’obbligo – rendere obbligatorie o semi-obbligatorie le polizze. Ma il nodo politico della questione è proprio lì e ci si gira attorno ormai da 20 anni. Fonti del Fatto confermano che al Mef è in corso l’ennesimo tavolo di confronto con l’Associazione nazionale delle imprese assicuratrici (Ania): un’ipotesi di compartecipazione pubblico-privato alla spesa assicurativa, un dossier diviso tra abitazioni civili/piccole e medie imprese calibrato in modo che il contributo pubblico, in forma di incentivo all’assicurazione, sia inferiore a quanto spende lo Stato per interventi di ricostruzione, indennizzi e sussidi vari. Quel che già nel 2016 il direttore di Bankitalia Salvatore Rossi semplificava così: “Dal Belice all’Aquila i contribuenti italiani hanno pagato tre miliardi l’anno in ricostruzioni. Chiediamoci se questi soldi potevano essere spesi per i vivi, anziché per risarcire i morti. E se le assicurazioni possano giocare un ruolo”.

Di anni ne sono passati altri sette, con annesse frane e alluvioni, ma non si è registrato alcun passo avanti perché, sempre citando Rossi, “non esiste la ricetta magica, ma quasi tutti i Paesi hanno un modello, il nostro modello è una non scelta della politica, in un senso o in un altro”. Sapete chi lo racconta ancora meglio? Proprio il predellino dell’Ania, dove ogni anno la tragedia volge in commedia. In occasione dell’assemblea annuale, sale su quel palco il ministro o il sottosegretario di turno e ripete la stessa cosa: “Ora basta, è il momento di una soluzione strutturale!”. Ma poi non succede proprio nulla. La prossima assemblea è fissata per il 4 di luglio e c’è da scommettere che andrà ancora così: il politico o tecnico invitato salirà quei gradini e ripeterà le stesse parole pensando di dire cose nuove, e incasserà pure l’applauso (sempre più fievole) degli assicuratori che se le sentono ripetere da due lustri. Non ci credete?

Il predellino delle promesse
Nel 2022, per stare a tempi recenti, era toccato al ministro Giancarlo Giorgetti: “Una risposta efficace ai rischi delle catastrofi naturali può declinarsi attraverso forme di partenariato pubblico-privato, anche attraverso modalità innovative”. Prima di lui Mario Draghi aveva ad auspicato una “più stretta collaborazione tra pubblico e privato con riferimento agli eventi estremi sanitari e climatici”. L’anno prima ancora fu Stefano Patuanelli a sottolineare lo scarso utilizzo dello strumento assicurativo in un Paese dove il 70% delle famiglie vive in case di proprietà ma 14,2 milioni sono in aree a rischio sismico: “Condivido – aveva detto con voce ferma – la proposta dell’Ania per una partnership pubblico-privata sulle catastrofi”. E andiamo al 2019, quando ospite dell’assise assicurativa fu Giuseppe Conte: “Ci sono tutti i presupposti – disse in collegamento con toni da grande annuncio – per imbastire un’alleanza strategica tra governo ed imprese assicuratrici”.

Non è che manchi l’intenzione, per carità, manca proprio il coraggio politico di una scelta responsabile che all’inizio suona impopolare e costosa per le casse pubbliche chiamate a concorrere, ma sul medio-lungo termine darebbe dei frutti perché la maggiore protezione farebbe risparmiare lo Stato che andrebbe a dividere i costi con gli operatori privati. Non c’è da andar lontano per aver prova che sì, “si-può-fare”. In Svizzera c’è l’assicurazione fabbricati pubblica obbligatoria con un sistema solidale, ogni immobile è assicurato e il premio è decisamente irrisorio: 9 centesimi di franco per ogni mille franchi di valore dell’immobile. Nel Canton Ticino, dove l’assicurazione non è statale ma privata ed è facoltativa, i premi sono almeno il doppio.

La Francia e la Spagna prevedono una copertura catastrofale inclusa obbligatoriamente in ogni polizza incendio (a sua volta obbligatoria per aprire un mutuo). In Francia, in particolare, una legge del 1982 stabilisce che a indicare condizioni, franchigie e prezzi sia un consorzio statale (Cassa centrale di riassicurazione) che compartecipa alla definizione dei piani di copertura con le compagnie ed eroga a sua volta un contributo governativo che renda accessibili. Altrove, ad esempio in Giappone che è tra le aree più esposte al rischio sismico, l’adesione è completamente volontaria ma con forti incentivi fiscali per le abitazioni (la deducibilità fino al 100% del premio pagato). A ben vedere dal fondo, molto dal fondo, qualcosa si inizia a intravedere anche in Italia: sulla scia della politica agricola comunitaria 2023-2027 nel 2021 è stato approvato il Fondo Mutualistico Nazionale Agri-Cat, dove “cat” sta per catastrofe, ed è diventato operativo l’anno scorso, tanto è vero che nelle misure per l’alluvione dell’Emilia-Romagna il governo ha destinato 50 milioni attingendo proprio da Agri-Cat. Vale per i campi, non per le case, il bene-rifugio di milioni di italiani.

La miopia (irresponsabile) dei politici
Ma chi governa a Roma è “immobile tra immobili”. Negli ultimi 15-20 anni, una qualche misura per rendere semi-obbligatorie (o incentivare le polizze almeno per i condomini) ha fatto capolino in diverse finanziarie. All’ultimo sono sempre saltate. Vuoi perché a nessun partito piace essere additato come quello che “mette nuove tasse sulla casa”, vuoi perché ogni ministro politico ha un mandato a termine che lo vincola al consenso; e infatti, nulla si è mai fatto su questo fronte, al punto che è ormai connaturato al pensiero degli italiani un certo fatalismo di comodo che dice: “Se proprio arriva una catastrofe, è lo Stato che paga”. Cosa per altro di rado vera, visto il destino incerto di fondi e tempi per le varie ricostruzioni, ma (peggio ancora) tutt’altro che economica e socialmente giusta rispetto ad altre soluzioni, giacché i fondi arrivano sempre dalle tasche dei cittadini, compresi quelli che non possono permettersela una casa e vivono in affitto o dai genitori. Non che in Parlamento vada meglio: negli ultimi due decenni si contano almeno 16 proposte di legge in materia assicurativa, ma sono rimaste sempre al palo. Siamo ancora fermi lì. Il fatto è che nel frattempo qualcosa è cambiato, anzi: a ben vedere ci ha messo meno il clima planetario a mutare che l’Italia a trovare una soluzione al suo problema: avere il record di proprietari di case e quello negativo di strumenti per assicurarle. Anche nel tempo in cui il “rischio calamità” si è fatto certezza: nel 2022 – stima il Gruppo Munch Re, tra i principali riassicuratori europei – a livello globale hanno provocato perdite per 270 miliardi. Salgono i rischi, sale il costo della polizza per coprirli. Ma come funziona una polizza anti-catastrofi?

Come si calcola il premio
Ogni compagnia ha elaborato una sorta di tabella standard di coefficienti di rischio da moltiplicare ogni 100mila euro di valore dell’immobile, inteso come il costo per la sua ricostruzione. Costo che sale se è ubicato vicino a fonti certe di rischio come i fiumi, le aree sismiche, e per mille altre variabili costruttive e geografiche. Per dare un’idea, una polizza alluvione e terremoto (da non confondere con la garanzia su eventi atmosferici) per un appartamento di 100 metri quadri a Bologna costa sui 500 euro l’anno. Ma più delle variabili, sul premio pesa una costante: se pochi sottoscrivono contratti di copertura, il costo non distribuito è maggiore e la polizza diventa un lusso. L’incentivo del resto è minimo, specie per le famiglie. Il 19% del costo si scarica, ma un condominio che volesse assicurarsi facilmente scopre che una polizza per eventi climatici gli costa ben più di quella base. Ecco, nei numeri, da dove arriva quel famoso 5% delle case assicurate, dal fatto che il 95% dei proprietari interessati sbiancano davanti al preventivo che gli amministratori portano pure in assemblea: non c’è da stupirsi che nessuno lo deliberi.

“Se lo stato non fa convergere le sue scarse risorse nelle opere strutturali per mitigare future catastrofi (argini dei fiumi, porti, rete viaria) la già scarsa percentuale di persone che assicurano i loro appartamenti è fatalmente destinata a ridursi”, rimarca Vincenzo Cirasola, presidente dell’Associazione Nazionale Agenti professionisti di assicurazione (Anapa). “E’ fin troppo facile prevedere che gli effetti del climate change spingeranno sempre più in sù i premi assicurativi, a meno che appunto non vi siano opere di mitigazione che tengano sotto controllo anche i costi della protezione assicurativa”.

Ed ecco perché, senza un intervento regolatore pubblico e un approccio mutualistico, la maggior frequenza delle catastrofi potrebbe portare anche in Italia a situazioni di “carenza assicurativa”, non solo lato proprietari, ma anche lato compagnie, perché ormai poche in Italia, vista la raccolta e il costo degli indennizzi, coprono rischi catastrofali. Un fenomeno che si è già visto altrove fin dagli ani Novanta, in aree del mondo colpite da eventi ciclici e duraturi, dove le franchigie schizzavano alle stelle diventando insostenibili. In Florida, ad esempio, l’emergenza incendi legata alla siccità ha fatto fuggire le compagnie e lo Stato è sceso in campo attrezzando una propria agenzia. A maggio, lo racconta il New York Times, la più grande compagnia assicurativa per proprietari di case in California, State Farm, ha annunciato che avrebbe smesso di vendere la copertura. A stretto giro anche AllState, la quarta compagnia dello Stato, ha dato forfait. Insomma, l’Italia è così ferma in questo frangente che non solo il clima ha fatto in tempo a mutare, ma la crisi climatica a diventare una crisi finanziaria che manda gambe all’aria gli assicuratori.

I bond catastrofali
Altro strumento pubblico-privato è l’emissione di cat bond governativi come quelli intermediati dalla Banca Mondiale. Li hanno adottati Paesi meno avanzati e ricchi di risparmi dell’Italia ma funestati da eventi estremi di varia natura come il Messico, Perù, Filippine, Colombia, Cile. Sono strumenti per trasferire il rischio ai mercati dei capitali simili alle polizze riassicurative tradizionali ma “impacchettati” come titoli che vengono acquistati e scambiati tra investitori qualificati. Non sono affatto nuovi. Nascono negli anni Novanta, sulla scia di una serie di catastrofi come gli uragani Hugo e Adrew o il terremoto in California. Le compagnie che si sono affacciate per prime ne sono uscite malconce, molte sono fallite. L’esperienza ha però indotto agenzie di rating e autorità di regolamentazione a costringerle ad aumentare i loro livelli di capitale sulla base di nuovi modelli probabilistici per meglio “pesare” il rischio delle catastrofi future: quando va bene raccolgono sottoscrizioni e staccano ricche cedole, se si verifica il sinistro climatico risarciscono gli assicurati compartecipando, insieme al pubblico, alla spesa per ricostruire, indennizzare etc. I bond catastrofali non sono solo appannaggio di hedge fund allettati dalla scommessa sul rischio. Analoghi strumenti sono emessi o sottoscritti dai governi. A Sacramento, California, la Earthquake Authority (Autorità Sismica), organizzazione finanziata privatamente ma gestita pubblicamente, emette polizze contro i terremoti tramite compagnie di riassicurazione convenzionate. Perfino società pubbliche di servizi locali vi fanno ricorso, come la Metropolitan Transportation Authority di New York.

Non siamo garantiti, ma paghiamo lo stesso
Ma in Italia no, non se ne parla neppure che lo Stato utilizzi questi strumenti per assicurare in anticipo le future catastrofi, anche se il nostro Paese non è diverso e anzi, per frequenza e intensità dei fenomeni climatici, inizia a somigliare parecchio a quelli tropicali: giusto ieri, in occasione della Giornata mondiale per l’ambiente, l’osservatorio di Legambiente sugli eventi meteo estremi ha diffuso il dato record di +135% rispetto ai primi sei mesi del 2002. Emettendo obbligazioni cat anche lo Stato italiano potrebbe pagare gli interessi ai sottoscrittori e restituire la raccolta in forma di indennizzi in caso si verifichi l’evento disastroso; al tempo stesso inizierebbe così a ridurre l’esposizione sui vari fronti, economico e sociale. E perché non lo fa? Sempre per le vedute strette della politica: mentre la parte in conto capitale, depositata presso un qualche istituto (se non nella Banca d’Italia) è lì, la spesa per interessi diventa spesa viva per lo Stato, con relativo aggravio di debito pubblico, onere che nessun governo vuol intestarsi per intraprendere una (giusta) politica di prevenzione a fronte di eventi non prevedibili ma sempre più frequenti.

Per questo si preferisce tamponare l’emergenza, perché attingendo dai capitoli di spesa più disparati, compreso il ricorso ad aumenti delle accise, l’aumento della spesa pubblica si nota meno. E si continua così a perseguire una politica di indennizzi ex post (erogati addirittura prima della quantificazione effettiva dei danni, come avviene oggi in Emilia-Romagna) piuttosto che creare un fondo strutturale per pagare le catastrofi, accantonando ex ante le risorse necessarie, soluzione che avrebbe anche il pregio della trasparenza e della linearità di bilancio. Detto altrimenti, si preferisce rischiare (sulla pelle dei cittadini) sperando non accada nulla. La miopia di questa scelta presenta lo stesso il conto: nel 2016 la Cgia di Mestre ha isolato sette eventi tragici, dal Belice del 1968 all’Emilia Romagna del 2012, per i quali il Fisco ha imposto cinque incrementi dei balzelli sulla benzina. Così ha raccolto 145 miliardi, contro costi per la ricostruzione stimati in 70 miliardi.

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