I boiardi dello sport preparano la bottiglia delle grandi occasioni: il governo Meloni è pronto a salvare la loro poltrona. La legge sul limite dei mandati – massimo tre quadrienni, poi a casa – che aveva unito un po’ tutti i predecessori, dal renziano Lotti al grillino Spadafora, passando per il leghista Giorgetti, ora potrebbe a sorpresa essere modificata dal ministro Abodi. Il tetto cancellato, per regalare ai presidenti federali che stanno già lì da decenni la possibilità di essere rieletti ancora, potenzialmente in eterno.
Guai a chiamarli “casta”, i diretti interessati si arrabbiano parecchio. Preferiscono altre parole, come leader, risorse dello Stato, rivendicano i risultati (a volte ci sono, altre un po’ meno) e l’esperienza maturata sul campo, pure troppa. Sta di fatto che molti di loro sono in carica dai primi Anni Novanta: il record spetta all’immarcescibile Gianni Petrucci, a capo del basket dal 92’ con di mezzo una parentesi al Coni, ma la lista dei decani è lunga (Aracu nel pattinaggio a rotelle, Rossi nel tiro a volo, Chimenti nel golf, ecc.) e di mollare non ne vogliono sapere.
Nel 2017 fu approvata la famosa “Legge Lotti”, solo apparentemente severa: in realtà era un favore a Malagò, a cui ha regalato un terzo mandato al Coni, e concedeva comunque un giro di bonus ai dirigenti in camera (la cosiddetta “norma transitoria”), tanto è vero che alle urne nel 2022 sono stati quasi tutti rieletti, in teoria per l’ultima volta. Non contenti, da allora i presidenti si sono coalizzati per scardinare la legge, col grimaldello di un ricorso che è arrivato fino in Corte Costituzionale, dove sarà discusso il 5 luglio. Il vero obiettivo, però, è sempre stato convincere la politica a ripensarci, agitando lo spauracchio della Consulta. Il pressing andato a vuoto sul governo Draghi è ricominciato asfissiante su quello Meloni: il ministro dello Sport Abodi a parole si è sempre detto contrario (“è un tema che non mi affascina”) e invece ora pare essersi convinto.
La scusa è il territorio, i quadri regionali e provinciali per cui un ricambio così radicale è oggettivamente difficile. L’urgenza è proprio la prossima udienza alla Consulta del 5 luglio, che magari avrebbe bocciato il ricorso, stroncando una volta per tutte le ambizioni dei presidenti. Dopo un eventuale parere negativo della Corte sarebbe difficile toccare la legge. Meglio fare prima. La quadra è trovata, il limite di mandati sarà cancellato: il compromesso è che dal terzo in poi verrà introdotto un quorum maggiorato dei due terzi per essere rieletti. Ancora meglio delle attese, visto che alla vigilia una delle ipotesi più accreditate era quella di introdurre la parola “consecutivi” nel testo, in modo da limitare il tetto alle elezioni di fila. Così invece i presidenti possono farsi riconfermare potenzialmente in eterno. La maggioranza del 66% potrà forse mettere in difficoltà qualcuno, ma i Binaghi o i Barelli, signori del tennis e del nuoto, non avranno problemi a raggiungerla. Nella modifica invece al momento non fa parte il Coni, per cui resterebbe il limite di tre mandati fissato dalla legge sugli enti pubblici (le Federazioni invece sono private): con Malagò dentro, l’intervento non sarebbe mai passato. Lui del resto non si è mai schierato in questa battaglia al fianco dei presidenti federali, e loro non ci hanno pensato troppo a mollarlo quando si è trattato di salvarsi la poltrona.
Raggiunto l’accordo politico, non resta che trovare lo strumento giusto. Bisogna fare prima del 5 luglio, giustificare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’urgenza di un provvedimento così impopolare, altrimenti la pronuncia della Consulta rischia di far saltare l’inciucio. I tempi restano stretti ma, caduta la resistenza del governo, il traguardo non è mai stato così vicino: presidenti per sempre, come sognavano.