di Riccardo Mastrorillo
Leggiamo sull’Espresso un pregevole articolo di Susanna Turco che riporta i suggerimenti di Giovanni Diamanti, analista politico, cofondatore dell’agenzia di comunicazione Quorum/Youtrend, dal titolo accattivante: Il Pd non basta. Servono forze parallele. La tesi di Diamanti è che il Pd, più che ricostruire un vetusto centrosinistra, dovrebbe puntare su una sorta di “liste civiche” organizzate nazionalmente. Noi, al rischio di sembrare vetusti, siamo di opinione nettamente contraria. Riteniamo che il “peccato originale” del Pd sia stato proprio quello della vocazione maggioritaria, della pretesa di riuscire a rappresentare tutta la sinistra, un vizio che ha indubbiamente ereditato dal – quello sì vetusto – Pci e della ben nota teoria dell’egemonia a sinistra, teoria che non pochi danni ha causato nella storia d’Italia.
Crediamo fermamente nelle culture politiche, nei corpi intermedi, nella capacità delle organizzazioni politiche di pensare a un ideale di società e di saper guidare l’elettorato verso la modernità, non di farsi guidare dai sondaggi, per lo più rappresentativi della “pancia” dei cittadini. Non vogliamo di certo riproporre il “pentapartito”, anche se, nonostante i suoi limiti, aveva una capacità politica che oggi qualsiasi coalizione, di governo o di opposizione che sia, si sogna.
Elly Schlein dovrebbe annunciare a gran voce il superamento della veltroniana “vocazione maggioritaria”, e promuovere un’alleanza progressista con tutti i soggetti politici che esprimano una cultura politica chiara, dopo aver chiarito – e lei ci sembra che le idee su questo le abbia estremamente chiare – quale sia la cultura politica di riferimento del Partito democratico. Non si tratta di campi larghi o stretti, ma si tratta di campi chiari, in cui si discute di programmi sulla base di ideali, di come i soggetti politici sognano il progresso di questo stanco Belpaese. Il “partito dei sindaci” o comunque l’idea proposta da Diamanti ci sembra più che altro una truffa elettorale, per nascondere la crisi dei partiti invece di affrontarla.
Le liste civiche sono aggregazioni di interessi, quasi mai di proposta politica. Servono per intercettare un consenso che altrimenti i partiti “tradizionali”, ammesso che ne esistano in Italia, non riuscirebbero a intercettare. Il neosindaco di Vicenza Giacomo Possamai, unico vincitore di sinistra nei ballottaggi delle amministrative, ha vinto, secondo i commentatori, proprio perché non ha voluto leader di partito in campagna elettorale. Eppure Possamai è indiscutibilmente un esponente di partito, da dieci anni consigliere comunale e capogruppo del Pd, non certo un esponente “civico”. Perché in politica non si affrontano le questioni analizzandole con la logica?
In realtà alle elezioni amministrative, dove in gioco ci sono i programmi per rendere migliore una città, a cosa serve la presenza di un leader nazionale? Soprattutto quando il candidato è persona nota alla cittadinanza ed esponente di primo piano di un partito.
Si fosse trattato di una candidatura nuova o magari frutto di una difficile mediazione, sulla quale poteva servire la rassicurazione da parte di uno dei partiti della coalizione, avremmo capito, ma in questo caso l’assenza dei leader ci pare assolutamente normale. Quello che non è normale è la quantità di liste civiche che sorgono e muoiono in una elezione, dove vengono eletti consiglieri che spesso finiscono il loro mandato in una coalizione diversa da quella in cui lo hanno cominciato, che non rispondono a logiche di partito ma ovviamente solo a logiche personali. Sia chiaro che le “logiche di partito” dovrebbero essere logiche politiche basate su interessi sociali, mentre quelle personali sono quasi sempre basate sugli interessi del singolo, non mediati da quei “corpi intermedi” ai quali la Costituzione ha affidato il compito di organizzare i cittadini per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
E in quale modo una lista civica potrebbe organizzare i cittadini? Certo esistono pregevoli eccezioni: situazioni in cui la cittadinanza si organizza, magari contro politici improponibili, o contro situazioni di degrado, ma quella è una situazione limite. Le liste civiche corrispondono ad una mercificazione del sistema democratico, proponendo marchi finalizzati a carpire il voto di elettori confusi o delusi, per confluire, vuoi o non vuoi, sempre sui soliti candidati dell’apparato di partito. Così per vincere, un po’ come inconsapevolmente suggerisce Diamanti, ai partiti non serve migliorarsi o promuovere una classe dirigente migliore: basta mettere su qualche lista civica e il gioco è fatto….
“Serve fantasia, aprirsi alla società, andare oltre le formule più classiche. Serve una offerta politica nuova, anche parallela al Pd” sostiene Diamanti. Noi crediamo che è il Pd che deve riformarsi, e speriamo che Schlein riesca in questo intento; in parallelo, dovrebbero riformarsi (o addirittura formarsi) gli altri partiti dell’area progressista, in principio facendo chiarezza sulla loro cultura politica.
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