Forse Giorgia Meloni pensava di aver sedotto a raffiche di smaglianti sorrisi stereotipati i tunisini, ma persino i media locali sono rimasti coi piedi ben per terra, badando ad evidenziare il “do ut des” che potrebbe scaturire dalla sua visita, ossia limitandosi all’ufficialità in un Paese dove ormai la libertà di stampa è limitatissima. Come spiega Frida Dahmani nel suo interessante e disincantato articolo pubblicato da Jeune Afrique, settimanale prestigioso in lingua francese fondato nel 1960. Il reportage inizia proprio con la grottesca sceneggiata cui si è prestata (ben contenta di farlo) al termine dei colloqui con le autorità tunisine, lasciandosi immortalare in piedi dietro un leggio, lasciando intendere un tradizionale “botta e risposta”, come si usa al termine di ogni summit: “L’immagine è ingannevole, sembra tratta da una conferenza stampa quando non vi è presente alcun giornalista”. Un teatrino che ha fatto comodo alla Meloni. Come ai suoi ospiti. Finzione. Silenzio. Paura delle domande. Veline. Il copione è noto, i regimi non tollerano punti interrogativi.
Generosamente, sia pure con una certa ironia, la Dahmani ipotizza che la nostra premier (“essa stessa ex giornalista”), si sia prestata al vergognoso gioco (una evidente “anomalia”) per puro pragmatismo, il che sottintende una precisa scelta politica. Ossia, “non dover evocare la libertà di stampa e più in generale il capitolo delle libertà in Tunisia. Un tema che non l’interessa per davvero”, ed inoltre perché la porterebbe dritta negli affari interni della Tunisia, compromettendo lo scopo della sua visita, cioè raggiungere gli obiettivi di una nuova e più solida collaborazione fra i due Paesi in materia energetica e soprattutto sul delicato e polemico fronte dei migranti. La Meloni, per convincere i suoi interlocutori, ha promesso l’aiuto di Roma all’FMI perché attivi finanziamenti a Tunisi. In cambio, si aspetta un più stretto controllo sui flussi migratori.
E tuttavia, durante questa visita, nel cuore di Tunisi, sui gradini del Teatro municipale, c’erano parecchie famiglie di migranti a protestare contro la presenza della Meloni in Tunisia. Da mesi reclamano infatti informazioni sulle persone scomparse e denunciano l’indegno trattamento inflitto ai migranti detenuti in Italia. La loro protesta ha il pieno sostegno del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES). La giornalista di Jeune Afrique ha ascoltato Romdhane Ben Amor, portavoce di questa Ong: “La visita della premier italiana si inserisce nella medesima logica esercitata verso Tunisi dalle politiche di pressione e di ricatto dell’Unione europea”.
Non ha torto, secondo la giornalista: “Meloni tende ad imporsi come un intermediario tra la Tunisia e le istanze internazionali, ed ha assicurato al presidente Kais Saied la sua disponibilità ‘a tornare ben presto accompagnata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen’”.
In verità, Tunisi preferirebbe vederla tornare in compagnia di un’altra donna, la potente rappresentante di un’altra istituzione, il Fondo Monetario Internazionale. In effetti, scrive Jeune Afrique, questo “compito d’intermediazione che si è assegnata Meloni è più delicato”, rispetto ad una eventuale visita della von der Leyen, “da molte settimane, la presidente del consiglio italiano tenta d’essere ascoltata dalla direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, perché l’ente di Bretton Woods riduca i livelli di requisiti e faciliti le procedure così che la Tunisia possa accedere ad un prestito di 1,9 miliardi di dollari” (un accordo di principio era stato ottenuto nell’ottobre del 2022, nda).
“Una missione difficile”. La lunga attesa irrita il presidente Saied, che insiste sul suo rifiuto “dei diktat venuti dall’estero”, ed esige “il rispetto della volontà del popolo”. Su questo punto, la Meloni non ha potuto offrire granché, oltre la promessa di riprovarci. Ha cercato di puntare sul feeling della franchezza di linguaggio, per cercare di cambiare i rapporti fra i due Paesi con una svolta a “180 gradi”, “per riprendere uno dei tic idiomatici della Meloni”. A spese della Francia, ha commentato un veterano della diplomazia tunisina, “si sta disegnando un asse Algeri, Roma, Tunisi”, è la sintesi del geopolitico Rafaa Tabib, mentre il sociologo Mouldi Gassoumi osserva che “l’approccio regionale della Meloni si fa secondo una certa taylorizzazione, in cui ogni paese è trattato singolarmente”. Una strategia, in apparenza, fruttuosa, giacché l’Italia da qualche mese è “in prima linea in una larga porzione del Maghreb”.
Il trucco? “La Meloni ha almeno il merito d’essere la sola dirigente occidentale ad avere interagito con il potere tunisino senza dare lezioni in materia di democrazia e senza commentare gli affari interni del paese. Un’attitudine che denota rispetto conforme a ciò che si aspetta Kais Saied dai paesi partner”. Morale della favola: pur di riuscire a coinvolgere la Tunisia nei piani di Roma, la Meloni ha evitato accuratamente ogni riferimento alla situazione (assai critica) in cui versa la società civile tunisina. Affari loro.
Ma il malcontento serpeggia a Tunisi: “La realtà è che Roma non difende che i propri interessi – dice Imed Soltani, presidente dell’associazione Terre pour tous – non bisogna credere alle promesse dell’Italia come quelle in cui dice che ‘sosterremo la Tunisia, aiuteremo la Tunisia, noi siamo partner’”, la Meloni è giunta senza delegazione economica però forte della posizione che l’Italia ha come prima partner commerciale della Tunisia, ed in più la nostra premier “ha estratto dalla saccoccia 700 milioni di euro che saranno investiti nei settori della sanità e dei servizi”. Come? Perché? “Lo si ignora”, scrive Frida Dahmani: persino gli economisti locali sono sbalorditi, per non dire scettici, sull’improvvisa prodigalità della Penisola. Troppi verbi al futuro.