Nel 2012 decisero di togliersi qualche benefit perché la politica costava troppo. Nel 2023 non solo decidono che quei bonus debbano tornare, ma con una retroattività di 10 anni varrà anche per chi in quell’aula non c’è nemmeno più. I consiglieri regionali della Puglia stanno preparando un regalo da fare a loro stessi: il trattamento di fine mandato. Settemila euro per ogni anno di mandato espletato. Indipendentemente dal fatto che la legislatura la si concluda oppure no. Ma prima di fare i conti in tasca agli eletti pugliesi, un passo indietro: nel 2012, quando alla guida della Regione Puglia c’era Nichi Vendola, il Consiglio regionale – su spinta di un ragionamento generale fatto nella Conferenza Stato-Regioni – decise, in uno slancio di lucidità, di ridurre i costi della politica abolendo il vitalizio e il trattamento di fine mandato. Del resto, i consiglieri all’epoca erano ancora 70 – successivamente ridotti a 50 – e pesavano non poco sulle casse regionali. E così fu. Dal 1 gennaio 2013 entrambi gli emolumenti furono cancellati.
Dieci anni dopo, in tempi in cui imperversano crisi economica e caro vita, i consiglieri regionali hanno ritenuto fosse necessario il ritorno del trattamento di fine mandato. Ed ecco protocollata (documento 38/2023) la proposta di legge con le firme in calce dei capigruppo di Partito democratico, le civiche Per la Puglia e Con, i Popolari (il cui capogruppo nel frattempo è anche passato all’opposizione) e il Movimento 5 Stelle. Il ché non significa che, all’interno di ciascun partito, non ci siano posizioni contrastanti. E ora veniamo ai conti: un consigliere regionale pugliese percepisce come indennità di base, 7mila euro lordi al mese. La proposta di legge, prevede che venga corrisposto, al termine del mandato, anche prima della fine della legislatura, una indennità mensile per ogni anno di esercizio del mandato. Bastano anche sei mesi per calcolare l’annualità intera. Nella legge si tiene a sottolineare che il consigliere concorre all’ammontare finale, giacché è prevista una trattenuta annua del 24 percento sull’indennità mensile. E quindi, calcolatrice alla mano, vediamo che significa.
Ponendo che un consigliere regionale percepisca solo l’indennità base di 7mila euro al mese, verrà trattenuto il 24 percento ovvero 1.680 euro. All’anno, naturalmente. Ponendo che si raggiunga una sola legislatura, quindi 5 anni, le trattenute ammonteranno a 8.400 euro. Un compromesso accettabile, considerato che la cifra totale percepita sarà di 35mila euro. Ma non è tutto. Perché i consiglieri non hanno pensato solo a loro stessi. La legge, infatti, prevede una retroattività di 10 anni. In buona sostanza, percepiranno il trattamento di fine mandato anche i colleghi che avevano deciso di abolirlo con la legge del 30 novembre del 2012. Il testo, infatti, recita così: “A far data dal 1 gennaio 2013, a coloro che hanno ricoperto le cariche di consiglieri regionali o assessori della giunta regionale, spetta l’assegno di fine mandato anche se cessati dalla carica nel corso della legislatura”. Dunque, è una ulteriore deduzione, da corrispondere anche agli assessori esterni, quindi non eletti.
Quello su cui si sta lavorando, va detto, non è il primo tentativo di ripristinare i benefit. Un blitz fu tentato durante la seduta di approvazione del bilancio di previsione, infilando nottetempo un emendamento alla manovra. Ma fallì. Ora, però, si è preferita una strada quantomeno più trasparente: la proposta seguirà l’iter nelle commissioni per una approvazione alla luce del sole. Del resto, nella relazione d’accompagnamento, si giustifica l’esigenza di ripristinare il Tfm, con il fatto che “quasi tutte le regioni prevedono il trattamento di fine mandato”, come a dire “perché non anche noi?”. Perché – verrebbe da suggerire – fu proprio il Consiglio con una spinta coscienziosa a decidere che quanto veniva percepito già, fosse sufficiente. Ricordiamo, infatti, che un consigliere regionale, come detto percepisce di base 7mila euro lordi, ma a questi vanno aggiunti 4.100 euro di spese di esercizio di mandato, oltre ad una indennità di funzione che va dai 1.200 euro ai 2.700 euro a seconda dell’incarico ricoperto (capogruppo, segretario, presidente di commissione, vicepresidente, presidenti di consiglio e regione). Per una cifra complessiva che va da un minimo di 11mila 100 euro per i consiglieri semplici ai 13.800 euro per i presidenti.
Cifra, evidentemente, ritenuta non sufficiente. Perché nella relazione si giustifica la decisione anche con il fatto che “la totale assenza di un trattamento di tale natura si risolve in sostanza in una penalizzazione nei confronti dei consiglieri”, perché i consiglieri che sono dipendenti pubblici o privati, in aspettativa non retribuita durante il mandato, non possono usufruire dell’accantonamento ai fini del TFR. L’ultimo calcolo è quanto costerà alle casse pubbliche: 3 milioni 700 euro per il 2023, 310mila euro per il 2024 e altrettanti per il 2025.