La giovane Italia s’è desta, c’è una nazionale che vince ai Mondiali. È l’Under 20 dei ragazzi del ct Carmine Nunziata, per la prima volta in finale ai Mondiali di categoria: con loro il nostro calcio è rinato. Casadei, capocannoniere del torneo, è il nuovo Milinkovic-Savic. Baldanzi sembra Messi. Pafundi, match-winner ieri sera, l’uomo del destino. E poi le parate di Desplanches, Ghilardi un colosso in difesa, Zanotti, Prati e Giovane motorini infaticabili. Peccato che poi in campionato non vedano il campo. Li applaudiamo quando vincono con la maglia azzurra, ma poi non gli diamo fiducia nei club: i numeri smascherano l’ipocrisia italiana sui giovani del nostro calcio. Se escludiamo Tommaso Baldanzi, l’unico che quest’anno ha trovato continuità di impiego ad Empoli, in Serie A i ragazzi di Nunziata hanno collezionato appena 334 minuti nell’intera stagione. Una miseria. Se allarghiamo il discorso alla percentuale di titolarità (fonte Trasfermarkt), indipendentemente dalla categoria visto che tanti giustamente sono in prestito in Serie B o C, scopriamo che comunque soltanto in 4 hanno giocato dal primo minuto più di una gara su due (nell’ordine: Sassi, Casadei, Baldanzi, Ghilardi), mentre la media è veramente bassa, del 19%. La dimostrazione che c’è qualcosa di strutturale che non funziona nel nostro sistema.

Eppure a vederli in campo con l’Under 20 sembrano praticamente dei fenomeni, hanno schiantato il Brasile, superato l’Inghilterra, piegato anche la temibile Corea e ora si giocheranno il titolo. Piano con i paragoni: il calcio giovanile è un altro calcio, contano troppo troppe variabili, come lo sviluppo fisico che non procede mai di pari passo, la crescita caratteriale, le esperienze maturate. Si guardi anche il tabellone, con Uruguay, Corea e Israele fra le prime quattro e Brasile o Francia a casa prematuramente: segno che, al di là della crescita esponenziale di alcuni movimenti, i risultati sono attendibili fino a un certo punto. Chi pare un predestinato a 18 anni, e magari potrebbe anche esserlo, non è detto diventi un campione da grande. Fatta questa premessa, resta però comunque una domanda: ma davvero questi ragazzi non meritano più di qualche minuto tra i campi di periferia di Serie B e C? Perché poi è tutto qui il punto: forse vederli già protagonisti ai massimi livelli è pretendere troppo, ma così relegati nel dimenticatoio è probabilmente troppo poco.

Prendiamo forse il caso più emblematico: Simone Pafundi, unanimemente considerato dagli addetti ai lavori come il talento più cristallino non solo di questa under ma probabilmente del nostro intero movimento da diverso tempo a questa parte. Classe 2006, sta giocando praticamente tre anni sotto età e ciononostante in semifinale è riuscito a essere decisivo. In una Udinese già salva da gennaio non ha mai trovato spazio, e dopo l’infortunio di Deulofeu, il titolare nel suo ruolo, la dirigenza ha preferito tesserare il francese Thauvin, che ha fatto apparizioni da calciatore finito, piuttosto che puntare sul suo talento. L’unica spiegazione possibile è che la società abbia scientemente voluto tenere le carte coperte, magari per il contratto in scadenza al 2025. Così avrebbe un senso, ma non sarebbe comunque la maniera migliore per accelerare il suo percorso di crescita tra i pro, che comincerà con un anno di ritardo. Stesso discorso per Montevago: non ci poteva essere qualche minuto per lui in una Sampdoria sull’orlo del fallimento che gioca per onor di firma da settimane, facendo esordire secondo e terzo portiere?

Casadei è l’uomo copertina di questa squadra: lui è uscito dall’orbita di gestione del calcio italiano e si è trasferito in Inghilterra, più per colpa delle note difficoltà finanziarie dell’Inter che per una reale mancanza di fiducia del club (se Zhang non avesse dovuto far cassa probabilmente avrebbe avuto una chance da qualche parte in prestito). In Inghilterra si è dovuto confrontare non solo con un’altra categoria ma proprio con un altro Paese, e così ha passato mezza stagione in primavera e l’altra metà in prestito al Reading nei bassifondi del Championship. Ma il problema non sono i fenomeni, che alla fine qualche attenzione di più la ricevono comunque, ma i ragazzi normali: gli Ambrosino, Desplanches e Giovane, che hanno fatto fatica a trovare spazio in Serie B, tra prestiti probabilmente nella squadra sbagliata e panchina, i tanti 2003 come Zanotti e Fontanarosa che non hanno ancora tolto i denti da latte della Primavera. Hanno qualità, le abbiamo viste durante il mondiale, ma non abbiamo avuto il coraggio di metterle alla prova in campionato. Eppure l’eccezione ce l’abbiamo avuta davanti agli occhi per tutto l’anno: Tommasino Baldanzi, autentica rivelazione della Serie A, 26 partite e 4 gol alla stagione d’esordio, senza nessun problema o timore reverenziale. La dimostrazione che forse questi ragazzi basta lasciarli giocare. Una lezione che il calcio italiano non ha ancora imparato.

Twitter: @lVendemiale

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