Calcio

Il doppio tabù del City nella notte di Istanbul: può essere la prima Champions del club e di uno sceicco. Il costo? Oltre 2 miliardi di euro

Quanto costa una Champions League? Tanto, spesso tantissimo. Come a Manchester, sponda City, dove il conto ha superato la quota degli aiuti che il governo italiano ha stanziato per l’emergenza che ha messo in ginocchio l’Emilia-Romagna: 2.195.640.000 euro. Secondo Transfermarkt è questa la cifra che il proprietario dei Citizens Mansour bin Zayd Al Nahyan ha speso in giocatori (dal 1 settembre 2008) per arrivare alla finale di Champions League a Istanbul del prossimo 10 giugno contro l’Inter di Simone Inzaghi. Quindici anni di investimenti più o meno azzeccati, spesso controversi e rumorosi, come quello di Jack Grealish nel 2021, attualmente l’acquisto più costoso della storia del Manchester City (nonché del campionato inglese) con più di 117 milioni di euro andati nelle casse dell’Aston Villa.

La sfida ai nerazzurri in terra turca non mette in palio solo il primo successo nella storia del Manchester City nella massima competizione europea per club. In ballo c’è molto di più: il primo successo in campo internazionale di una squadra controllata da uno sceicco. Due anni fa i Citizens vennero sorpresi dal Chelsea di Tuchel, l’anno scorso Rodrygo nel giro di sessanta secondi nel recupero spense i sogni degli uomini di Guardiola al Santiago Bernabeu. Un obiettivo, quello della Champions League, tante volte rimandato e che mai come quest’anno sembra essere a portata di mano, grazie anche a un undici titolare-tipo da 637,5 milioni di euro (dati Transfermarkt).

D’altronde è inutile girarci intorno, il Manchester City, sulla carta, è ampiamente favorita per la vittoria finale. Attualmente è riconosciuta come la squadra più forte d’Europa e in questa stagione – specialmente con la semifinale di ritorno contro il Real Madrid – ha davvero strabiliato tutti. Una macchina che Pep Guardiola ha reso un’orchestra perfetta fatta di movimenti coordinati e verticalizzazioni millimetriche, e che ha già conquistato la quinta Premier League nelle ultime sei stagioni – al termine di una lunga battaglia conclusa con una grande rimonta sull’Arsenal di Mikel Arteta – e la FA Cup superando i cugini del Manchester United. Ora si punta alla tripletta. Ma quella che andrà in scena allo stadio Ataturk di Istanbul contro l’Inter sarà comunque tutta un’altra storia, assolutamente non scontata.

La Champions League è da sempre una competizione diversa da tutte le altre, che si sviluppa con logiche differenti e dove la storia e la tradizione hanno spesso un peso (psicologico e non) più determinante di qualsiasi disponibilità economica. Qui un successo è figlio anche di attitudine di squadra, ambiente, programmazione, idee. E fortuna ovviamente, un fattore che non guasta mai. Avere fondi illimitati da versare sul mercato certo aiuta, ma non è mai stato sinonimo di vittoria. Nella massima competizione europea la “prima volta” è un fatto problematico, un percorso tortuoso che spesso si deve scontrare con delusioni cocenti ed esiti inaspettati.

Dal 2000 ad oggi l’unica squadra a vincere la Champions League senza averla mai vinta prima è stato il Chelsea di Roman Abramovic nel 2012, anche lui dopo aver speso milioni su milioni e aspettando diversi anni prima di arrivare all’obiettivo. Nello stesso lasso di tempo, oltre al Manchester City, hanno fallito la loro occasione il Valencia (2000 e 2001), Bayer Leverkusen (2002), Monaco (2004), Arsenal (2006), Atletico Madrid (2014 e 2016), Tottenham (2019) e Paris Saint Germain (2020). Se allarghiamo il cerchio, da quando il torneo ha assunto l’attuale denominazione, nel 1992/93, ci sono stati solo tre nuovi ingressi nell’albo d’oro: Marsiglia nel 1993, Borussia Dortmund nel 1997 e, appunto, Chelsea.

E il PSG, l’altra grande del calcio europeo sotto il controllo di uno sceicco? Anche qui i numeri degli investimenti sono notevoli e la resa internazionale nulla. Sempre secondo Transfermarkt dal 2011, anno in cui i parigini sono stati rilevati dalla Qatar Sport Investment, il presidente Nasser Al-Khelaifi ha acquistato 74 giocatori, per una spesa complessiva di circa 1,5 miliardi di euro. Campioni su campioni, tra i quali Thiago Silva e Ibrahimovic (42 e 21 milioni al Milan), Cavani (64 milioni al Napoli), David Luiz (49,5 milioni al Chelsea), Angel Di Maria (63 milioni al Manchester United), Achraf Hakimi (66,5 milioni all’Inter), Lionel Messi (parametro zero dal Barcellona ma con stipendio da 30 milioni annui), Kylian Mbappè (145 milioni al Monaco) e infine Neymar, l’acquisto più caro della storia del calcio (222 milioni al Barcellona).

Il maggiore esborso economico, però, non è arrivato dalla campagna acquisti ma da quella dei rinnovi: per strappare Mbappé alla corte spietata del Real Madrid, Nasser Al-Khelaifi ha messo sul piatto un rinnovo a cifre astronomiche: secondo quanto ha successivamente affermato Le Parisien, un contratto fino al 2025 che supererebbe i 600 milioni di euro. Operazioni che hanno drogato il mercato europeo ma che alla fine hanno prodotto “solo” 30 titoli nazionali, di cui nove Ligue 1. Fuori dai confini nazionali le delusioni sono state sistematiche, tra le quali spicca il colpo di testa di Coman che ha deciso la finale di Champions League a Lisbona nel 2020, persa contro il Bayern Monaco. Ora il Manchester City di Guardiola ha nuovamente la grande occasione di spezzare questo vero e proprio tabù, per scrivere un nuovo capitolo nella storia del calcio europeo. Un capitolo che a settembre si arricchirà di un nuovo club “saudita” voglioso di prendersi la scena dopo essere stato lontano dalla Champions League per 20 anni: il Newcastle del fondo PIF, uno dei più ricchi del mondo.