Dalle polemiche su San Siro al pestaggio di una donna transgender da parte di agenti della Polizia Municipale, all’amministrazione comunale milanese di questi tempi non mancano certo i grattacapi. La più dolorosa delle spine nel fianco è però il tema della casa, con l’immagine del “modello Milano” duramente colpita dagli studenti accampati con le tende fuori dalle università, per denunciare i prezzi esorbitanti degli affitti. Con un tempismo perfetto, il libro di Lucia Tozzi L’invenzione di Milano – Culto della comunicazione e politiche urbane (Cronopio, 207 pp., 15€) mette il dito nella piaga stimolando riflessioni e mal di pancia sia a Palazzo Marino che nella base del Pd.
E meno male, viene da dire, dopo anni nei quali il dibattito è stato decisamente spento, sia per l’atteggiamento compassato di consiglio comunale, Giunta e partiti di riferimento, sia per il particolare meccanismo messo in luce dall’autrice, specializzata in urbanistica. A fronte di una politica sostanzialmente in linea con il PGT (Piano di Governo del Territorio) delle precedenti amministrazioni di centrodestra, nella Milano dell’era progressista ci si è tacitamente allineati a un entusiasmo quasi adulatorio che poco ha a che fare con la partecipazione che molto ha contribuito al successo della leggendaria campagna elettorale di Pisapia nel 2011.
Prima lui e poi Sala, due personalità tanto carismatiche quanto esterne al Pd, hanno colmato un vuoto politico nel quale si è infilata una nuova classe dirigente che, come naturale in una fase di cambiamento, si è affacciata con entusiasmo al potere, nelle sue varie forme. Se è difficile aspettarsi capacità critica da chi debutta sulla plancia di comando, persino i comuni cittadini sono diventati (più o meno consapevolmente) testimonial di scelte che hanno avuto più a che fare con il marketing che con la politica. Il libro di Tozzi ha l’enorme pregio di argomentare in modo sintetico ma approfondito le proprie critiche nei confronti di interventi-bandiera come l’urbanistica “tattica”, l’onnipresente partenariato pubblico/privato, la gentrificazione e il “washing” lessicale che ha spinto a parlare di “quartieri” e non più di “periferie”, termine che evoca troppe ferite ancora aperte. Un modello che Tozzi attribuisce interamente alla comunicazione, forse sopravvalutandola un po’ e considerandola autrice non di una mistificazione o di un abbellimento d’immagine (uno “spin”, in gergo tecnico), bensì di una vera e propria “invenzione”.
Certo, lo storytelling può aiutare a vendere ghiaccioli agli eschimesi, ma può anche evidenziare oltremisura i difetti e occultare i pregi: oggi pare che menare fendenti al “brand” Milano sia diventato di moda, anche se c’è chi lo fa da tempo (Tozzi cita spesso Il Fatto Quotidiano e in particolare la voce fuori dal coro di Gianni Barbacetto). A sua volta, L’invenzione di Milano presta il fianco a qualche critica. Tra i vari bersagli urbanistici spicca l’assenza delle panchine colorate, un modo certo originale per dare evidenza a tematiche sociali meritevoli, ma ormai talmente inflazionato da aver perso pregnanza, oltretutto fornendo la scusa per dedicare più tempo ai selfie dei presenzialisti che agli impegni concreti sui problemi in questione. In più passaggi del libro viene spontaneo chiedersi quale alternativa si proponga alle scelte messe in discussione o se invece vi sia la tentazione di aderire al fronte del “no” indiscriminato che in città ha già numerosi esponenti.
Tuttavia, non è questo il punto: il compito dei giornalisti e in generale dei pensatori consiste nel porre dei problemi, cosa che Tozzi fa egregiamente. La sua capacità di suscitare interrogativi è tale da stimolare riflessioni anche in chi, come il sottoscritto, ha fatto in qualche modo parte di questa era di gestione della città. Trovare soluzioni è invece un onere della politica, che però deve nutrire un sano germe del dubbio e dell’autocritica, specialità nella quale Milano negli ultimi anni francamente non ha brillato.
Ciò si rende ancor più necessario per il fatto che Beppe Sala non potrebbe più ricandidarsi sindaco nemmeno se lo volesse e che la sua successione è tutt’altro che facile, visto il clima ostile che serpeggia in città. Forse il modo migliore di prepararsi al futuro è scrollarsi di dosso quella patina di autocompiacimento che porta a guardarsi l’ombelico e aprire una seria riflessione tra le teste pensanti che nella società civile milanese certamente non mancano. Non si tratta di fare processi alle disfunzioni e ai rispettivi responsabili (a questo penseranno come sempre gli elettori), ma di tracciare una strada credibile per il futuro. La questione abitativa è certamente tra le principali urgenze, ma la prospettiva di lettura della realtà milanese suggerita da Tozzi può aiutare a interpretare meglio anche le dinamiche di altre questioni cittadini. Fossi nel sindaco, in chi aspira ad esserlo o nel prossimo segretario del Pd metropolitano, non perderei questa occasione.