Dall’ultranovantenne residente in una valle bergamasca che ha chiamato nel mezzo della notte la guardia medica per un picco di pressione, ma non ha potuto ricevere alcuna visita a domicilio perché il medico che gli rispondeva era a Milano, in un’altra provincia, a chilometri e chilometri di distanza. Al papà alle prese con il figlio di 7 anni con puntini rossi spuntati sul viso, che ha dovuto attendere decine e decine di minuti prima di poter parlare con un operatore, per poi sentirsi dire che in caso di urgenza poteva essere inviata un’ambulanza, mentre per una visita c’erano da aspettare diverse ore. Sono solo alcuni dei disagi subiti da chi vive in provincia di Bergamo e in questi giorni ha avuto bisogno del servizio di continuità assistenziale, ovvero di quelle un tempo chiamate guardie mediche, che sostituiscono di notte e nei festivi i medici di famiglia attraverso consulenze telefoniche, visite in ambulatorio o visite a domicilio.
Per capire cosa sta succedendo nella Bergamasca bastano alcuni numeri: “Le guardie mediche dovrebbero essere circa 220, una ogni 5mila abitanti, ma nel periodo del Covid molte sono state spostate ad altre funzioni”, spiega Giorgio Barbieri, coordinatore nazionale per i medici di medicina generale della Fp Cgil. E a pandemia finita, non si è tornati più indietro: “Progressivamente le guardie mediche sono scese sotto i 90, lo scorso maggio addirittura erano in servizio appena una sessantina“. A fine mese poi sono scaduti i contratti e molti medici non hanno voluto firmare il rinnovo. Così il numero di personale in servizio si è ulteriormente ridotto a 31, sette volte in meno di quanti ce ne vorrebbero, e l’Ats ha tagliato temporaneamente le postazioni di guardia medica da 27 ad appena 7. I medici “superstiti” si sono ritrovati oberati di telefonate a cui rispondere o visite da fare, anche perché chi era assegnato a una sede ha dovuto “vicariare” altre sedi, cioè occuparsi di pazienti di altri bacini, con rischi accresciuti anche sul piano medico-legale in caso di errori compiuti nel valutare le condizioni dei pazienti. Il sistema, già in crisi per questi numeri, è crollato nel momento in cui alcuni medici hanno presentato un certificato di malattia poche ore prima del turno: secondo l’Ats di Bergamo sono stati in 11 dall’1 al 4 giugno. Sulle cronache locali è finito il racconto di una dottoressa costretta a lavorare per 15 ore di fila: “Alla fine del turno stavo male – ha raccontato sulle pagine bergamasche del Corriere -. Dal punto di vista psicologico ero molto provata: la disorganizzazione dell’azienda non deve ricadere sul medico. Ma a parte le ore, c’è stato tutto quello che è successo nella notte. Ho avuto paura per la violenza che si è scatenata, da grida e insulti a quelli che volevano scardinare la porta, c’è gente che voleva la visita e la voleva subito”.
Ma come mai in provincia di Bergamo ci si è trovati in questa situazione? La questione si inserisce nel più generale problema della carenza di medici di famiglia che c’è a livello nazionale. “Storicamente le guardie mediche sono soprattutto medici che frequentando il corso per diventare medici di medicina generale – spiega Guido Marinoni, presidente dell’ordine dei medici di Bergamo – Da qualche anno per sopperire alla carenza di medici di medicina generale è stato consentito anche a chi è in formazione di avere un certo numero di pazienti. Così si è ridotta una fonte di approvvigionamento per le guardie mediche. Un’altra fonte è quella dei medici specializzandi, ma Bergamo non è sede di corsi universitari di specializzazione”. Per Marinoni il problema oggi è scoppiato a Bergamo, ma riguarda tutto il Centro-Nord del Paese: “Il contratto nazionale prevede che le guardie mediche guadagnino 23 euro lordi all’ora”. Se al Sud può anche andare bene, in molte regioni diventa difficile trovare medici disposti per un tale compenso a lavorare di notte e nei festivi. Qualsiasi specializzando, se ne ha la possibilità, preferisce avere un contratto in ospedale.
Alle cause generali, nella bergamasca si è aggiunta la scarsa flessibilità dell’Ats, che fino a qualche settimana fa ha consentito ai medici di firmare solo contratti di 24 ore a settimana, rifiutandosi di concedere quelli da 12 e 36 ore e quelli “di disponibilità”, in base ai quali un medico dà la sua disponibilità a essere chiamato qualora ci sia carenza di colleghi: “Chi frequenta il corso di formazione per diventare medico di medicina generale o la scuola di specializzazione di solito preferisce i turni diurni nel week end piuttosto che quelli notturni in settimana – spiega Ivan Carrara, segretario generale della Fimmg di Bergamo -. Con il contratto da 24 ore, deve lavorare tutto il week end, non ha la possibilità di fare solo il sabato o la domenica. Così in molti hanno preferito andare a lavorare in province limitrofe dove il contratto da 12 ore era consentito”.
Dopo che è scoppiato il bubbone, la Ats di Bergamo ha fatto marcia indietro: il bando per i nuovi contratti, in scadenza il 12 giugno, prevede infatti la possibilità di lavorare anche solo 12 ore a settimana. Mentre per quanto riguarda il compenso, nelle ultime ore è stata proposta ai sindacati una bozza di contratto che prevede oltre ai 23 euro all’ora anche un extra per i turni in cui i medici debbano “vicariare” altre sedi. Ma perché i contratti da 12 ore sono stati concessi solo adesso e rifiutati in precedenza? La domanda posta all’Ats di Bergamo non ottiene alcuna risposta. Barbieri della Fp Cgil fa due ipotesi: “O qualche funzionario ha preferito irrigidire i meccanismi per semplificare la gestione della continuità assistenziale. O c’è stata una strategia dettata da Regione Lombardia per andare a ridurre il servizio di continuità assistenziale. È evidente che la Regione stia spingendo in questa direzione e non escludo che a Bergamo si sia fatta una sorta di sperimentazione che è sfuggita di mano”.
Dagli uffici di Regione Lombardia, contattati da ilfattoquotidiano.it, negano che ci sia stata una tale strategia e spiegano quanto successo come l’esito di una trattativa sindacale in cui i medici che non hanno ottenuto quanto volevano hanno deciso di non rinnovare il contratto, aggiungendo che “sono in corso accertamenti su chi ha presentato certificati di malattia”. Sul problema generale della carenza di guardie mediche, da Palazzo Lombardia puntano il dito contro gli “errori fatti dai governi degli ultimi anni nella programmazione” e ammettono che tale carenza è un problema da affrontare non solo a Bergamo, tanto che a Milano, per esempio, si sta predisponendo un nuovo piano con Areu (Agenzia regionale emergenza urgenza) per riorganizzare il servizio. Un piano, che secondo quanto risulta a ilfatto.it, potrebbe portare anche nel capoluogo a una riduzione di postazioni e personale in servizio.