Il governo ha i suoi problemi: il penultimo è quello dei ritardi ormai conclamati sul Pnrr, l’ultimo il tracollo della produzione industriale. E nel frattempo l’opposizione come sta? Mentre il Terzo Polo non esiste più e, anzi, dentro Italia Viva sono arrivati ad additarsi a vicenda, Pd e M5s – i partiti principali del fronte avverso a quello del centrodestra – continuano a guardarsi da parecchio, parecchio lontano, col risultato – a vederla oggi – che i 5 anni che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni dice di vedere davanti a sé potrebbero almeno raddoppiare, a questo ritmo. La situazione di oggi è che la segretaria del Pd Elly Schlein, da una parte, parla di unità ma non fa nomi e cognomi: “Continueremo a essere una forza massimamente unitaria ma non lo possiamo essere da soli – avverte dall’assemblea di Articolo 1 – Quando perdiamo ahimè, non perdiamo da soli, ma noi ci prendiamo la nostra responsabilità, anche gli altri lo facciano. Non riusciremo a costruire un’alternativa alla destra se facciamo prevalere le differenze invece di mettere al centro le tante cose in comuni che abbiamo con le altre forze dell’opposizione”. Il messaggio è diretto – pare di capire – in particolare nella direzione di Azione e del M5s, ma nessuno dei due viene citato in modo esplicito. Dall’altra parte il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte – uno degli ultimi ad accomodarsi nel salotto agreste di Bruno Vespa a Mandura – ammette che con il “nuovo” Partito democratico vede una convergenza nelle battaglie su salario minimo e lotta al precariato, ma sottolinea bene pure quelle che definisce “dissonanze”, come sulla guerra in Ucraina e sulla transizione ecologica.
Sulla seconda non specifica meglio a cosa si riferisce, ma per quanto riguarda la prima la divaricazione è evidente, da settimane: “Prendo atto che sulla guerra non ci siamo, non vedo svolte rispetto alla sola strategia militare”. Più nel merito, dice ancora Conte, “non lascerei a Zelensky il compito di decidere come e quando sedersi al tavolo e a quali condizioni”, perché “Zelensky è in guerra ed è diventato giustamente un eroe anche grazie ai nostri aiuti”. Quindi, “fermo restando che tutti noi lavoriamo per difendere la sua sovranità territoriale, siamo anche noi indirettamente coinvolti nel conflitto e abbiamo pieno titolo per sederci a un tavolo: non possiamo a offrire a Zelensky una cambiale in bianco perché dica come quando fare la pace, se deve vincere o se deve arrivare a Mosca”. Sullo sfondo, spiega Conte, c’è “il rischio di un conflitto nucleare“. “Il tema è questo da porre al tavolo dei nostri alleati – scandisce – Questa strategia dove ci sta portando? Ci potete garantire che non avremo una escalation dopo tutte queste forniture di armi? Ci garantite un ombrello antiatomico di copertura?”. “Sarebbe stato più saggio sedersi a un tavolo di negoziato, che non significa arrendersi, coinvolgendo la Cina e la Santa Sede. Io ho sentito dire che il Papa deve stare a casa sua. Lei ha sentito che Putin non vuole mediare?” chiede rivolgendosi a Vespa. Sulla guerra in Ucraina “noi stiamo abbracciando una strategia militare, definita a Washington. Loro sono nostri alleati ma con gli alleati si parla, perché altrimenti se facciamo gli scendiletto sono, come dire, il nostro riferimento padronale. “Agli alleati si spiega che questa strategia militare con questa escalation militare porta solo a più enormi rischi, anche di deflagrazione nucleare. Noi invece siamo per una svolta negoziale che va perseguita con forza, tutelando sì gli interessi vitali dell’Ucraina e coinvolgendo la Santa sede e altri player internazionali. Qui non c’è via uscita se non distruzione e rischi”. La manifestazione del M5s in programma il 17 giugno avrà tra i punti programmatici anche il no alla guerra. “Dovete venire a dire al governo che non siete d’accordo – è l’arringa dell’ex capo del governo – Giro nel Paese e mi dite che non siete d’accordo con il governo, ma poi dovete venire in piazza anche per dire che questa strategia militare non sta funzionando”.
E cos’aveva detto, dall’altra parte, poche ore prima, Schlein riguardo alle questioni della guerra e della pace? “Mi sono assunta una responsabilità – aveva spiegato la segretaria dem – di rimarcare una linea netta di supporto al popolo ucraino, ma senza rinunciare a una prospettiva di pace giusta, la pace non è una parola che una forza di sinistra dismette. Un grande in bocca al lupo e un augurio al cardinal Zuppi, ma anche la politica deve esserci con uno sforzo diplomatico che sta accanto al supporto l’Ucraina con ogni forma di assistenza necessaria”. C’è uno sforzo in più, pare di capire, nelle parole, rispetto alla segreteria precedente, ma sulle distanze tra Pd e M5s sul punto pesa ancora probabilmente il voto al Parlamento europeo, dove la maggioranza del gruppo dem ha votato a favore del testo della Commissione Ue che prevede che alla bisogna un governo può usare i soldi del Pnrr anche per il materiale bellico da inviare in Ucraina. Sulla guerra in Ucraina da parte del Pd “confido che possa esserci una svolta, perché fino adesso il Pd continua sulla linea bellicista, ovviamente quando si tratta di votare concretamente i vari provvedimenti”.
Una situazione che fa dire a Conte, in definitiva, di non avere “contrarietà” al fatto che un rapporto con il Pd “cresca e si rafforzi su battaglie e terreni comuni, ma ragionare di alleanza organica adesso mi sembra fuori luogo”. “Sono contrario alle alleanze organiche – dice anzi l’ex premier – A noi interessano obiettivi, progetti, traiettorie politiche“. Il campo largo, insomma, “è una formula che non esiste”. Elly Schlein promette alla sua platea (i bersaniani che tornano all’ovile) che dall’opposizione “dobbiamo ricostruire una identità chiara su proposte fondamentali per il Paese, dobbiamo ricominciare a fare la sinistra, questo ci chiedono le persone”. E quindi ricorda le battaglie sul lavoro, sul diritto alla casa, sui temi dei diritti e dell’ambiente. La domanda del diavolo sull’Ucraina e sulla politica estera resta appesa al “ma anche”. Una necessità evidentemente in un partito che ribolle dal giorno successivo alla vittoria alle primarie. Alla prossima direzione del Pd, dice per esempio la segretaria, “sarà una discussione aperta e plurale, come siamo soliti fare, che metta al centro i temi dell’agenda politica del Partito Democratico con cui vogliamo parlare al Paese e ricominciare ad aprire. Abbiamo un astensionismo dilagante. Affinare la proposta che ci tiene insieme è anche un modo per, come abbiamo fatto in questi mesi, aumentare il consenso e l’attenzione verso il Pd e aumentare le iscritte e gli iscritti che ci mettono direttamente la faccia”. Ma il mandato è chiaro, sottolinea, è “andare avanti a costruire unità e coerenza” e tra i temi centrali per il nuovo corso non ci sono “solo” la sanità pubblica, il salario minimo, l’emergenza climatica, ma anche “allargare le nostre alleanze. Sia alle forze politiche dell’opposizione che alle forze civiche”. In quello spazio che resta tra democratici e 5 Stelle prova a infilarsi ora Carlo Calenda. “Parliamo di cose concrete – twitta il leader di Azione -. Abbiamo due proposte ampiamente condivise: 1) Retribuzione Minima Contrattuale; 2) Impresa 4.0 ampliata ad energia e ambiente e sostenuta da finanziamenti PNRR. Presentiamole”. E Schlein ha messo il mi piace.
La strada di Conte e Schlein si annuncia insomma lunga e piena di tornanti prima che si intravveda qualche traguardo: quale che sia la ricetta o la formula magica al momento non se ne vede alcun frutto né nei sondaggi né alle elezioni.