Negare che Silvio Berlusconi (il Cavaliere) abbia avuto un ruolo importante nella storia del nostro Paese sarebbe come ragionare da terrapiattista. Ma quale ruolo? In che direzione? Partiamo dal fatto che la nostra Costituzione repubblicana e antifascista (questo profilo soltanto un ostinato nostalgico come Ignazio Benito La Russa può negarlo) disegna una democrazia pluralista, basata sul primato dei diritti eguali per tutti e sulla separazione dei poteri, senza supremazia dell’uno sugli altri, ma con reciproci bilanciamenti e controlli.
A questa concezione di democrazia Berlusconi ha cercato – spesso sostanzialmente riuscendovi – di sostituirne una diversa: basata non più sul primato dei diritti ma sul primato della politica (anzi, per dirla tutta, sul primato della maggioranza politica del momento, quando fosse la sua). Ora, è vero che in democrazia la sovranità appartiene al popolo, per cui chi ha più consensi, chi ha ottenuto la maggioranza alle elezioni, ha il diritto-dovere di operare le scelte politiche che preferisce. Ma Berlusconi ha trascurato un “piccolo” particolare, vale a dire che ogni potere democratico incontra – non può non incontrare – dei limiti prestabiliti, che nella nostra Costituzione sono fissati fin dal primo articolo, secondo cui appunto la sovranità si esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Questi limiti sono tutelati da custodi (una stampa libera e una magistratura indipendente) estranei al processo elettorale ma non alla democrazia, per la quale anzi sono fondamentali. Se non si vuole che si realizzi quella iattura che Alexis de Toqueville definiva (già qualche secolo fa) come tirannide della maggioranza. In altre parole, la vera democrazia deve garantire spazi anche alle minoranze, spazi effettivi. Perché se questi spazi non sono effettivi, se la maggioranza che ha avuto più consenso si prende tutto, allora l’alternanza, che è la quintessenza, il dna della democrazia, viene ridotta a simulacro e la democrazia cambia qualità. Ed è in questa direzione – io credo – che si è mosso il Cavaliere.
Berlusconi, governando con un “impero” di giornali e tv private (senza mai una seria legge sul conflitto di interessi) e non disdegnando di occupare nel contempo porzioni consistenti dell’informazione pubblica (Rai), ha sensibilmente condizionato il pluralismo e l’indipendenza dell’informazione, rendendo a volte pressoché inevitabile il dilagare del potere della maggioranza oltre i limiti propri di una democrazia moderna.
Quanto alla magistratura, i suoi molteplici problemi giudiziari Berlusconi ha cercato sempre di presentarli come vessazioni togate in odio alla sua persona per paralizzane l’azione politica. Una citazione per tutte a proposito di indagini milanesi: “Sono l’ultima di una serie di intimidazioni pubbliche, del tutto estranee ad uno stato di diritto, sinonimi della faziosità eretta a regime giudiziario e di una gestione accanita e politicizzata della legge penale”. Se poi questa leggenda di un presidente del Consiglio perseguitato dalla giustizia non funzionava, ecco una raffica di ispezioni ministeriali e di iniziative disciplinari, di leggi ad personam o di leggi per addomesticare la prescrizione, fino alla legge Cirami e al lodo Schifani; per concludere con la votazione della Camera che con leggiadra non chalance riconosceva “Ruby Rubacuori” come… nipote di Mubarak.
Risultato complessivo? Lo scavalcamento (o il tentativo di aggirare) un limite assolutamente invalicabile in democrazia, rappresentato dal principio di legalità, in base a cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e nessuno può sottrarsi alla sua osservanza. Lo sdoganamento (e nel contempo una spinta) degli spiriti “spregiudicati” che oggi si apprestano a (contro)riforme come la separazione delle carriere fra pm e giudici.