Stravincere, non solo vincere. E farlo dando spettacolo, facendo rumore, tanto. È il mantra che ha portato Silvio Berlusconi nel mondo del calcio fin dal suo insediamento: cambiandolo quel mondo, come ha fatto con tutti i settori che ha toccato. Perché a Berlusconi il “vincere è l’unica cosa che conta” juventino non interessava, bisognava andare oltre, e in un calcio dove le big si dividevano i campioni il suo Milan non aveva problemi a prenderli tutti anche a costo di spendere il triplo o il quadruplo e oltre rispetto ai budget delle altre squadre. Lo fa capire fin da subito Berlusconi: prende il Milan a febbraio dell’86 da Giussy Farina e nel suo primo calciomercato Roberto Donadoni, giovane ala dell’Atalanta e praticamente già della Juventus diventa in un battibaleno rossonero grazie a un’operazione da 10 miliardi di lire. “Nulla sarà più come prima”: ci vide lungo l’Avvocato Agnelli, cui era stato appena soffiato un talento, “Berlusconi si è abbattuto sul calcio e lo ha trasformato da sport a spettacolo televisivo” disse, azzeccandoci.
La presentazione rossonera è infatti un trionfo cafonal di elicotteri che portano calciatori all’Arena di Milano con la Cavalcata delle Valchirie di Wagner come sottofondo. Ma se spettacolo deve essere per uno come Berlusconi non va bene un copione catenacciaro, dove si segna un gol e poi tutti a difendere, e nel primo anno di apprendistato la folgorazione arriva dalla Coppa Italia: il Milan di Berlusconi con Liedholm in panchina perde a San Siro nel girone di Coppa Italia contro una squadra di B, il Parma, agliottavi ritrova ancora il Parma…che vince ancora a San Siro e al ritorno in casa ferma il Diavolo sullo zero a zero. Arriva la folgorazione: il mister di quella squadra, che fino ad allora in A non aveva mai allenato, dovrà essere il mister del Milan, il tutto nello scetticismo generale.
Nessuno scetticismo invece quando in quella sessione di mercato Berlusconi si scatena: vuole tutto il meglio che offre il mercato. Vola ad Amsterdaam dove si gioca Olanda-Polonia e parla personalmente con Ruud Gullit e Marco Van Basten, poi annuncia di aver opzionato Claudio Borghi, Matthaus e Alemao. Gli ultimi due non arriveranno, Borghi sì, Gullit anche, per 13,5 miliardi e Van Basten pure, per “soli” due miliardi di lire. Nella stessa sessione di mercato sarà bloccato (pare con contratto nascosto nelle mutande del fido Adriano Galliani) anche Frankie Rijkaard per il 1988. Nasceva così il Milan degli olandesi: non di Borghi, di cui Berlusconi era innamorato ma che Sacchi non voleva in alcun modo. Quel Milan avrebbe vinto tutto: lo scudetto il primo anno, due Coppe Campioni di seguito, due Intercontinentali, due Supercoppa Uefa, una Supercoppa Italia.
Un preludio dorato per un Berlusconi ancor più esagerato a inizio anni ’90, quando la presidenza del Milan diventa anche un mezzo di consenso politico: la campagna acquisti del 1992 è quasi fantascientifica. Arrivano il primo e il secondo classificato nella graduatoria che ha portato all’assegnazione del Pallone d’Oro: Jean Pierre Papin, per 14 miliardi di lire dal Marsiglia nonostante in quel ruolo avesse già Marco Van Basten, e Dejan Savicevic per 10 miliardi dalla Stella Rossa. Quest’ultimo sarà uno dei calciatori più amati da Berlusconi: di fronte ai problemi iniziali del montenegrino nella squadra rossonera dirà a Capello e ai collaboratori che se un calciatore così forte non riusciva a esprimersi al meglio al Milan lo colpa era dello staff tecnico, non del calciatore. E nella stessa campagna acquisti, oltre a Papin e Savicevic arriveranno Nando De Napoli, Stefano Eranio e soprattutto Gigi Lentini: beniamino dei tifosi del Torino. Per lui Berlusconi sborsa 18 miliardi e mezzo ufficiali, altri 10 in nero al presidente del Torino Borsano, più 4 miliardi all’anno al calciatore: operazione che lo stesso Borsano definirà “immorale”.
Arriverà con Papin, Savicevic, Lentini e Capello un’altra Coppa dei Campioni. Gli anni della Presidenza del Consiglio coincideranno con una gestione più oculata, dove di certo non si farà mancare campioni, da Shevchenko a Kakà e trionfi. Gli ultimi anni, dove il metodo Berlusconi era stato messo in piedi altrove, in particolare in Spagna e in Inghilterra il Milan punterà su campioni già affermati e considerati in fase calante: prima Ronaldinho e Ronaldo poi soprattutto Ibrahimovic, che porterà l’ultimo scudetto dell’era Berlusconi, nel 2011. L’ultima scommessa è Mario Balotelli: 20 milioni di euro dal City, rivenduto al Liverpool per la stessa cifra, richiamato nel suo Monza in Serie B. Ultimo “campione”, prima dell’impresa: il Monza prima promosso e poi salvo in A, stavolta senza campioni e paccate di miliardi.