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Morto Silvio Berlusconi, tutti spettatori: dietro alla strafottente sbruffoneria il legame popolare creato con la tv

Silvio Berlusconi è entrato sotto la pelle degli italiani nei primi anni Ottanta e non è più andato via

Dalla calza sulla telecamera alla bandana sul cranio pelato, dal “mi consenta” falso dimesso all’incazzatissimo “cribbio”, dall’ “Obama abbronzato” con sorriso sornione al “lettone di Putin” citato dalla D’Addario. Silvio Berlusconi è entrato sotto la pelle degli italiani nei primi anni Ottanta e non è più andato via. Lì a sfrigolare come un microchip piantato nei gangli vitali del “pubblico”. Tutti spettatori. Anche i “comunisti”. “Berlusconi e il Papa stanno camminando lungo un fiume quando al Papa cade la Bibbia in acqua, Berlusconi si avvicina alle acque e, camminando sulla superficie senza affondare, la recupera. Il giorno dopo l‘Unità titola: “Berlusconi non sa nuotare!”. Prima di Berlusconi nessuno. Nemmeno Giulio Andreotti con i suoi aforismi-freddura. Il politico che intrattiene dedicandosi alle barzellette con autocitazione e pure con la battuta obiettivamente sagace. Roba volgare. Quart’ordine da night. Eppure Silvio è subito sogno italiano. Un macrocosmo di parole, espressioni, concetti, idealità effimere, che accomunano tutti non più nella gerarchia dei diritti, ma nella scala dei desideri: dalle Alpi alla Sicilia, dall’Emilia rossa e al Veneto bianco, dalla casalinga di Treviso al bracciante lucano e al pastore abruzzese. L’inconscio anti-intellettuale, la realizzazione fai-da-te (con o senza stallieri) penetrano nel tessuto sociale sfibrato dal postmodernismo del socialismo craxiano. La politica dentro all’intrattenimento televisivo. L’intrattenimento televisivo nel linguaggio di tutti i giorni: nei rapporti di lavoro, al bar, tra amici, nel tinello di casa. Berlusconi ovunque. Terribile (o magnifica) ossessione. “Presidente siamo con te, menomale che Silvio c’è”. L’inno di Forza Italia subliminale come nemmeno la cassetta di CuoreDiventa leghista con l’ipnosi”. Ci si gira, ci si guarda increduli, si allargano le braccia, si scruta l’incomprensibile, eppure la buriana del “presidente operaio” non passa subito, anzi mette radici, si solidifica, continua anche dopo trent’anni. In cucina una tv sempre accesa su Emilio Fede vuoi che non capiti mai? Silvio l’amico di famiglia. Io sono come te. Tu sei come me. “Ti odio, poi ti amo, poi ti amo/Poi ti odio, poi ti amo/Non lasciarmi mai più/Sei grande, grande, grande/Come te, sei grande solamente tu”.

Ancora non c’è internet, ma c’è la cassetta delle lettere. Fine gennaio 1994. “La discesa in campo” di Berlusconi è di qualche settimana prima. In una elegante sede del Pds di Occhetto nel centro di Bologna una settantina di militanti, età media sui 60, discutono del depliant spedito per posta con tutta la storia dell’imprenditore della Fininvest. I testi e le foto sono accattivanti. La folla sarebbe incline ad un falò, ma esita, inconsciamente c’è qualcosa che li frena. Umberto Eco, in cattedra, invita a collezionare il pezzo di cultura comunicativa italiana che potrebbe diventare rarità. “Ma come ha fatto ad avere il mio indirizzo?”, chiede uno. “Eppure sembra un brav’uomo”, dice un altro. Non c’è nemmeno da chiedersi se vincerà o meno le elezioni. Berlusconi a quel punto è già penetrato nel dna del discorso colloquiale della gente comune. Ha già cancellato il campo e controcampo della dialettica comunisti contro democristiani travolta da Tangentopoli.

Io sono “l’unto del signore”, sono “l’uomo della provvidenza (featuring Don Giussani). Berlusconi come Dio, il nuovo il suo contrario, diavolo e acquasanta. I concetti rassicuranti da degasperiano del ’48 e gli anglicismi rampanti dell’imprenditore di successo. L’imbalsamato doppiopetto e lo sculettio delle ballerine seminude. Le calvizie da nascondere con una ricrescita assurda al pari di un riporto anni cinquanta e il sorriso fotogenico da marpione ammalato di sesso. Sembra una barzelletta lui stesso: il gaffeur (“stanno montando un film sui campi concentramento nazisti la suggerirò per il ruolo di kapò”), il macho (bunga bunga con pompetta), il mimo (a Quirinale di fianco a Salvini a enumerare con le dita le condizioni del centrodestra). Eppure dietro a quell’elegante maleducata strafottente sbruffoneria c’è un segreto legame popolare coltivato con le immagini e i tormentoni di un piccolo schermo che pareva eterno ma che ora si è spento per sempre.