Domanda: qual è, per ciascuno di noi, lo spazio vitale più intimo e segreto, il più vulnerabile perché è proprio lì che, soli di fronte alla nostra immagine riflessa nello specchio (e quasi sempre nelle impietose ore del risveglio) siamo ogni santo giorno costretti a mostrarci in tutta la nostra più fragile ed impudica nudità?

Se la vostra è risposta è: “la doccia” o, comunque, uno qualunque dei vari accessori del bagno di casa, nei cui paraggi quotidianamente, per impellenti e biologiche necessità, ci misuriamo con noi stessi e con i nostri più riposti bisogni, già vi trovate nella giusta posizione per cogliere il più profondo senso della notizia che ieri, tutt’altro che inattesa, ma comunque scioccante, ha sconvolto l’America. Perché proprio lì, nella sua doccia – o in quello che, per tutti noi, è il più sacro tempio della privacy, il bagno di casa – sono penetrati lo scorso agosto gli sgherri del “deep State”, dello Stato profondo (gli agenti del FBI, nel caso specifico), per regalare a Donald J. Trump ed agli Stati Uniti d’America qualcosa che, nei 247 anni di storia del paese, mai era accaduto prima. Ovvero: la messa sotto accusa d’un presidente da parte della giustizia federale. O, più esattamente: l’incriminazione d’un ex presidente e – con Trump quasi sempre tutto si raddoppia – d’un pressoché certo prossimo candidato alla presidenza per quella metà della democrazia USA che va sotto il nome di Partito Repubblicano. (Per la cronaca: la barriera di “primo presidente finito sotto processo”, Trump già l’aveva da par suo infranta qualche mese fa, quando un giudice di New York gli aveva contestato una trentina di reati connessi alla “hush money”, i “denari silenziatori” a suo tempo da lui segretamente e fraudolentemente pagati ad una porno star con la quale aveva intrattenuto una relazione extra-coniugale. Ma si trattava, per l’appunto, d’un reato statale, non federale).

Inaudito? Inammissibile? Inaccettabile? Questo e molto peggio di questo. Perché come ha sottolineato ieri, al colmo dello sdegno, il più elevato rappresentante del Partito Repubblicano, lo Speaker della House of Representatives, Kevin McCarthy, “unconscionable”, inconcepibile – democraticamente inconcepibile, ben oltre i problemi della privacy violentata – è che un presidente in carica (Joe Biden) metta sotto accusa quello che, con ogni probabilità, sarà, nel novembre del prossimo anno, il suo rivale nella corsa per la Casa Bianca. Non è forse questo quel che accade nella Russia di Vladimir Putin o nelle più sgangherate delle Repubbliche delle banane?

Bene. Qui finisce lo scherzo. O meglio – messo da parte il lato paradossal-farsesco della vicenda – qui comincia la vera esposizione dell’ultimo atto della perenne tragicommedia vissuta dagli Stati Uniti d’America ai tempi di Trump. Perché questo è, in effetti, quello che gli “sgherri” del “deep State”, penetrati nella reggia di Mar-a-Lago, in Florida, hanno trovato nella doccia di Trump. Non immagini della sua nudità, non intimi ed orrendamente adamitici segreti, ma segreti di Stato. Segreti militari. O meglio: documenti d’ogni tipo, ma assai spesso “top-secret”, ammonticchiati a decine di migliaia in grandi scatoloni o, in qualche caso, addirittura sparpagliati sul pavimento. E questo non solo in luoghi per antonomasia “privati”, tra la vasca da bagno, il water-closet, la doccia e il lavandino dei molto numerosi bagni (almeno una trentina) della gigantesca magione trumpiana, ma anche negli spazi più ludicamente pubblici, come la grande sala da ballo. Cotillons e segreti di Stato. Questo, a quanto pare, è quello che negli ultimi anni, Donald Trump ha generosamente offerto agli illustri invitati alle sue faraoniche feste…

Né prevedibilmente mancano, in questo già di per sé tragicamente stravagante contesto, momenti, o meglio, veri e propri siparietti d’impareggiabile comicità trumpiana. Il più (tragicamente) divertente? Forse quello – riferito da molto credibili testimonianze – che, nel luglio del 2021, vede l’ex presidente Donald Trump, per l’occasione nel campo da golf di Bedminster, in New Jersey (una delle sue proprietà), sventolare sotto il naso di alcuni visitatori documenti segreti relativi ad un possibile attacco contro l’Iran (il tutto, pare, per controbattere le parole del Joint Chiefs of Staff chair, Mark Milley, che, stando a notizie trapelate, andava sostenendo che a lui era toccato bloccare un attacco nucleare contro l’Iran già deciso, in un giorno di malumore, dal presidente in carica).

In 49 e davvero sconvolgenti pagine – sconvolgenti per motivi opposti agli “unconscionable” elencati dalla Speaker della Camera – lo Special Counselor, Jack Smith, l’uomo che ha condotto le indagini, ha elencato e suddiviso in quattro categorie le carte ritrovate a Mar-a-Lago. Documenti riguardanti strategie di difesa e sistemi d’armamento; programmi nucleari; analisi di vulnerabilità a fronte di possibili attacchi contro gli Usa o suoi alleati da parte di potenze straniere; piani di ritorsione contro quei medesimi attacchi. E molto chiare sono state le sue conclusioni. Non c’erano possibili alternative. Una miriade di prove ed indizi ha rivelato come Trump abbia consapevolmente violato, in almeno 37 diversi modi, le leggi della Nazione, comprese quelle emesse per tutelarla contro lo spionaggio. E, date queste premesse, non chiamarlo a risponderne in un processo sarebbe stata una – questa sì “unconscionable” – violazione della eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e dello stato di diritto.

E adesso, che cosa accadrà? Fare previsioni è, in questo contesto, alquanto azzardato. Ma tutto lascia credere che la prossima corsa presidenziale davvero sarà tra un impopolare presidente in carica e un ancor più impopolare rivale (impopolare ma sostenuto dal Partito Repubblicano con la passione che, di norma, si riserva agli oggetti di culto) finito sotto processo (anzi, sotto processi perché altri ed ancor più gravi sono quelli ancora aperti). E questo non per decisione del sunnominato presidente in carica, come falsamente e con molto risibile indignazione sostenuto da McCarthy, ma per una serie di reati che, insieme alla legge, sembrano sfidare anche la logica. Per quale motivo Donald Trump ha prima sottratto e poi tenuto nascosti quei documenti? Per senso di onnipotenza? Per abitudine all’impunità? Per egocentrica stupidità? O per qualcosa di peggio?

Vedremo. Per l’intanto questo è quel che la doccia di Trump già ha rivelato, anzi, confermato al di là d’ogni ragionevole dubbio. La democrazia americana – proverbialmente la più antica del mondo – ha urgente bisogno d’un idraulico (del quale peraltro non si vede traccia). Perché da quelle parti sta davvero – ci si passi la metafora – piovendo sul bagnato.

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