Un martire della giustizia, pluri-indagato e pluri-processato soltanto per fini politici. Così i pretoriani di Silvio Berlusconi hanno cercato per decenni di dipingere il loro leader, aiutati da numerose sentenze favorevoli che però quasi mai ne hanno dimostrato l’estraneità ai fatti contestati. Nei procedimenti penali a cui è stato sottoposto, infatti, il fondatore di Forza Italia morto a 86 anni è riuscito a salvarsi quasi sempre grazie a cavilli, prescrizioni, interpretazioni favorevoli o leggi ad personam. Scappatoie inaccessibili ai comuni cittadini, che non hanno a disposizione gli avvocati migliori sulla piazza e soprattutto la possibilità di modificare direttamente il codice penale. Ecco una rassegna di alcuni dei casi più clamorosi.

Prescrizioni

Lodo Mondadori – Berlusconi era accusato (assieme a Cesare Previti, Attilio Pacifico, Giovanni Acampora e Vittorio Metta) di concorso in corruzione in atti giudiziari, per aver pagato i giudici di Roma in modo da ottenere una decisione a suo favore nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale sulla Mondadori, che aveva attribuito la proprietà della casa editrice a Carlo De Benedetti. Nel giugno 2001 la Corte d’Appello riqualificò il reato di Berlusconi in corruzione semplice e lo dichiarò prescritto (perché commesso nel 1991). Per la corruzione giudiziaria Previti, Pacifico e Acampora furono invece condannati in via definitiva a un anno e sei mesi, il giudice Metta (il relatore del giudizio sul lodo) a due anni e nove mesi. La sentenza di appello, confermata dalla Cassazione, dice esplicitamente che l’ex premier aveva “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio“.

All Iberian 1 (finanziamento illecito) – Secondo l’accusa, tra il gennaio 1991 e il novembre 1992 Berlusconi aveva versato al Psi Bettino Craxi (coimputato) una maxi-tangente da 23 miliardi di lire, ricavati da fondi occulti della Fininvest. Nel processo di primo grado, concluso il 13 luglio del 1998, il proscioglimento per prescrizione era stato dichiarato solo rispetto a dieci dei 23 miliardi contestati; per la restante parte, il fondatore di Forza Italia era stato condannato a due anni e quattro mesi di reclusione e al pagamento di una multa di dieci miliardi. Il 22 novembre 2000, però, la Corte di Cassazione – confermando la sentenza d’appello emessa il 26 ottobre 1999 – ha dichiarato la prescrizione del reato. La Suprema Corte non ha ritenuto di assolvere l’imputato nel merito, come avrebbe potuto fare se la prova dell’innocenza fosse stata evidente.

Processo Mills – Berlusconi era accusato di corruzione in atti giudiziari per aver pagato con 600mila dollari la falsa testimonianza di David Mills nei processi sulle tangenti alla Guardia di Finanza e All Iberian. Deposizioni che hanno “tenuto Mr. B. fuori da un mare di guai in cui l’avrei gettato se avessi detto tutto quel che sapevo”, scriveva l’avvocato inglese al suo commercialista. Mills fu processato subito e condannato a quattro anni e mezzo sia in primo grado che in appello: nel 2009 poi la Cassazione ritoccò all’indietro la data della consumazione del reato, facendo scattare l’estinzione. La posizione di Berlusconi invece fu stralciata per effetto del lodo Alfano, che sospendeva i processi alle alte cariche dello Stato: quando la Consulta lo dichiarò incostituzionale, il procedimento nei confronti dell’ex premier riprese e si concluse direttamente con una sentenza di prescrizione, il 25 febbraio del 2012. Determinante per salvare entrambi fu la legge ex Cirielli, approvata nel 2005 dalla maggioranza berlusconiana, che tagliò da 15 a 10 anni il termine di prescrizione del reato di corruzione in atti giudiziari (commesso nel 1999).

Caso Unipol – Il processo, per divulgazione di segreto d’ufficio, riguardava la diffusione della celebre intercettazione “Abbiamo una banca?”, la domanda che Piero Fassino, allora segretario dei Ds, rivolse all’amministratore delegato di Unipol Giovanni Consorte, riferendosi alla scalata di Bnl. Quel nastro non era depositato, ma il suo contenuto finì lo stesso in prima pagina sul Giornale. Si scoprì poi che a farlo uscire erano stati Paolo e Silvio Berlusconi, che se l’erano visto offrire direttamente dall’azienda che aveva realizzato le intercettazioni. In primo grado l’ex premier fu condannato a un anno di carcere, suo fratello a due anni e tre mesi ed entrambi a risarcire Fassino con ottantamila euro: in Appello il reato fu dichiarato prescritto.

Assoluzioni “perché il fatto non costituisce più reato”

All Iberian 2 (falso in bilancio aggravato) – La riforma del diritto societario approvata nel 2002, con cui il governo Berlusconi depenalizzò molte ipotesi di falso in bilancio, salvò l’ex premier anche dalla seconda tranche del processo All Iberian, sui fondi neri creati nel bilancio Fininvest per ricavare la maxi-tangente per Craxi. Da un lato, il reato non era più perseguibile: con la nuova legge, infatti, il falso in bilancio per le società non quotate diventava procedibile solo a querela di parte. B. ottenne però addirittura l’assoluzione con la formula più ampia (“il fatto non costituisce più reato”) perché, grazie alla nuova legge, la falsa dichiarazione doveva aver causato un danno effettivo (e non più solo potenziale).

Processo Sme (falso in bilancio) – La depenalizzazione del falso in bilancio portò all’assoluzione di Berlusconi anche nell’ultimo dei processi nati dalla vicenda Sme, che aveva a oggetto sempre presunti fondi neri creati nei bilanci Fininvest per pagare mazzette ad alcuni giudici romani (per le presunte corruzioni, l’ex premier venne assolto nel merito in via definitiva). I giudici di Milano si rivolsero persino alla Corte di Giustizia europea per chiedere di dichiarare illegittima la legge ad personam, ma dal Lussemburgo risposero di non poter intervenire sulle legislazioni dei singoli Paesi. Così il 30 gennaio 2008 il Tribunale di Milano dovette dichiarare, anche qui, l’assoluzione “perché il fatto non costituisce più reato”.

Il primo processo Ruby (concussione) – Il 21 dicembre 2010 Silvio Berlusconi venne indagato dalla Procura di Milano per concussione per induzione, in quanto, secondo l’accusa, abusò della sua qualità di Presidente del Consiglio per esercitare un’indebita pressione sui funzionari della Questura di Milano per ottenere il rilascio di una giovane marocchina, Karima El Mahroug detta Ruby, al fine di coprire il reato di sfruttamento della prostituzione minorile. Nel dicembre del 2012, però – sotto il governo Monti – la legge Severino abolì la fattispecie di concussione per induzione, rendendo la condotta di Berlusconi non imputabile. In primo grado l’ex premier venne condannato comunque a sette anni, riqualificando il reato in concussione per costrizione (e non più per induzione). In appello (e in Cassazione) l’ex premier ottenne però l’assoluzione da entrambe le accuse: i giudici sostennero che le telefonate in Questura si potevano considerare un abuso, ma non (più) un reato. Per quanto riguarda la prostituzione minorile, invece, si sostenne che non conoscesse l’età della giovane. Dopo il deposito delle motivazioni, il presidente del collegio d’Appello Enrico Tranfa si dimise dalla magistratura in segno di dissenso.

Ruby ter: “Il fatto non sussiste”. Ma perché?

Poche settimane prima della morte, un formidabile assist mediatico è arrivato a Berlusconi dalla sentenza del Tribunale di Milano che lo ha assolto dall’accusa di corruzione in atti giudiziari nel processo Ruby ter. Una decisione che però – come hanno anticipato gli stessi giudici – è esclusivamente tecnica: la corruzione non poteva sussistere perchè le ragazze pagate dall’ex premier per raccontare il falso nei processi Ruby e Ruby bis non dovevano essere considerate testimoni, quindi pubblici ufficiali, bensì indagate di reato connesso. “Se il soggetto che si assume corrotto non può qualificarsi come pubblico ufficiale e dunque manca un elemento costitutivo del delitto corruttivo”, è stata la conclusione del Tribunale, “giuridicamente quest’ultimo non può sussistere nemmeno nei confronti dell’ipotizzato corruttore, nel caso di specie Berlusconi“. Un punto di vista che contrasta con quello di 14 altri magistrati, che nei processi precedenti avevano ritenuto le testimonianze valide. Eppure l’ex premier ha “venduto” la sentenza come una vittoria nel merito, parlando di “fango” e “accuse infondate”. E Forza Italia l’ha usata come una clava contro i pm, approfittandone per rilanciare la vecchia idea di una commissione d’inchiesta parlamentare sull’uso politico della magistratura.

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