Prima la Roma. Poi la Fiorentina. Infine l’Inter. Tre su tre, ma in negativo: peggio non poteva andare. La Serie A da “zero tituli” – come direbbe Josè Mourinho che oggi è una delle vittima del suo stesso anatema – si interroga su quale sia la lezione di queste tre finali per il calcio italiano: bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, vera rinascita o amaro fallimento.
È inevitabile. Quando finisce una storia, e questa delle italiane in Europa è stata incredibile, c’è sempre un po’ l’esigenza di trovare una morale. Ma onestamente che significato possono mai avere tre partite perse in queste modo. Con la Roma battuta solo ai rigori e ancora a rimuginare sull’arbitro Taylor. La Fiorentina tradita da un contropiede al 90esimo. L’Inter che non si dimenticherà di Istanbul per anni. Avrebbero potuto essere tranquillamente tre vittorie su tre, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. La verità allora è che queste tre finali non hanno alcun significato per il calcio italiano. Come però non ce l’aveva probabilmente nemmeno il fatto di averle raggiunte.
Quel profluvio di analisi e lodi sperticate per la Serie A, “calcio is back” e altre retoriche del genere, era ed è ancora probabilmente immotivato: le italiane hanno fatto un percorso straordinario, sono state profondamente competitive grazie a delle idee forti, qualsiasi esse fossero (dal bel gioco di Italiano e Inzaghi al catenaccio di Mourinho). Questo è indiscutibile. Ma è altrettanto vero che sono arrivate in fondo per merito e anche per un tabellone favorevole, dove erano sempre favorite dato il livello della competizione (la Fiorentina in Conference) o il sorteggio dell’urna (la Roma in Europa League e l’Inter in Champions), e al massimo partivano alla pari (i nerazzurri col Benfica, ad esempio). Quando si sono ritrovate di fronte un avversario superiore, hanno giocato benissimo, ci sono andate davvero vicino. Ma hanno perso.
Ecco, se c’è un elemento di queste tre finali su cui riflettere davvero, semmai, è che le italiane ci siano arrivate tutte da sfavorite. Si può discutere forse giusto sulla Roma, che aveva dei fondamentali economici e tecnici molto simili a quelli del Siviglia. Ma non c’è dubbio che la Fiorentina fosse inferiore al West Ham, mentre la differenza dell’Inter col City era semplicemente abissale. Questo divario in campo non si è visto, e questo un po’ aumenta i rimpianti, un po’ rende orgogliosi. Però c’era e non bisogna dimenticarselo. Il calcio è meraviglioso perché nelle partita secca chiunque può battere chiunque, ma 9 volte su 10 vince comunque la più forte e l’albo d’oro della Champions in fondo è lì a dimostrarlo: nell’ultimo decennio in finale ha sempre vinto la favorita con l’unica eccezione forse del Chelsea nel 2021. E ciò significa che l’Inter per aggiudicarsela avrebbe dovuto fare un miracolo, come dovrà farlo la Serie A nei prossimi anni. E vale in parte pure per l’Europa League, dove ovviamente siamo stati e saremo più competitivi. Oggi la coppa dove siamo dominanti è la Conference, due finali in due anni, e il prossimo la Juve (se la giocherà) sarà ancora la squadra da battere. Ma è solo il terzo livello della piramide europea. Quando l’Inter, la Roma o qualsiasi altra rappresentante torneranno in una finale internazionale da favoriti, allora vorrà dire che anche la Serie A sarà tornata grande per davvero.