L’Italia è quel paese in cui nello stesso giorno sono morti due importanti uomini di spettacolo. La stragrande maggioranza dei commenti, messaggi celebrativi e di cordoglio, le ricostruzioni della vicenda privata e pubblica si sono concentrati su uno dei due. Ciò in virtù del fatto che questo uno dei due è stato anche un notevole imprenditore, un influentissimo leader politico e in generale un’icona culturale e perfino caratteriale dell’Italia a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio del XXI secolo.
Uno che, per dirla con Gramsci, non ha saputo soltanto conseguire un’egemonia ideale e culturale tramite cui influenzare le leggi e le politiche del paese per quasi un trentennio. Ma che prima, con le proprie televisioni private e commerciali, ha letteralmente costruito un terreno socio-culturale su cui il suo tipo di egemonia avrebbe potuto trionfare senza problemi. La “gioiosa macchina da guerra” dei progressisti italiani sopravvissuti a Tangentopoli e al tracollo della I Repubblica, infatti, aveva già perso la guerra in partenza a causa di un cambiamento radicale delle regole del conflitto. Un conflitto che non si combatteva più con le divise lise degli intellettuali impegnati, con i paroloni di una grande narrazione propria del Novecento (quindi ormai anacronistica), o con i manifesti programmatici complicati e lunghissimi che quasi nessuno leggeva più, dovendo impiegare il proprio tempo nel gustare soap opera, trasmissioni demenziali o telefilm leggeri. Questo primo showman, defunto il 12 giugno, è stato al tempo stesso l’allestitore e il prodotto più raffinato dello spettacolo mediatico che ancora governa il paese.
Il secondo showman defunto nello stesso giorno – Francesco Nuti – è stato un attore e soprattutto uno scrittore e regista di film straordinari. Forse l’ultimo alfiere italiano di una comicità ruspante, verace, ma al tempo stesso delicata, a tratti surreale, con un fondo di tragicità che mal si addiceva all’epoca plastificata aperta dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, in cui tutto doveva essere costruito, azzurro, sorridente e possibilmente falso.
Credo non sia un caso che i film di Nuti abbiano smesso di intercettare il gusto del grande pubblico proprio nel momento in cui si affermava la narrazione spettacolare dell’altro showman. Basta anche solo rivedere le rare comparsate in tv di Francesco Nuti, o le sue interviste televisive e non, per capire che ci si trovava di fronte a un genio fragile, a una persona non disposta a recitare sempre e comunque la parte, a uno che non accettava di sottomettersi a un sistema spettacolare ormai destinato a strangolare tutto ciò che fosse vero, sincero, incline alla riflessione e aperto a quel dolore che pur connota in maniera significativa l’esistenza umana.
Il primo showman, pur essendo note le sue tante malefatte (dalla controversa ascesa economica fino ai rapporti stretti con la malavita, passando per il disprezzo delle donne), viene in questi giorni beatificato e santificato in maniera pressoché unanime da un paese il cui parlamento fu disposto a bersi la storia della nipote di Mubarak (una vergogna per tutta l’Italia, da quel momento in poi paese di lestofanti e leccaculo, oltre che poeti e navigatori). Tanto che se ne celebreranno i funerali di Stato. Il secondo showman, certo meno rilevante per tante ragioni, se n’è andato avvolto da un generalizzato dimenticatoio in cui peraltro era piombato da molti anni (anche per suoi errori e debolezze).
Non è mia intenzione farne una questione personale in nessuno dei due casi. Mi fa soltanto riflettere l’immagine di un paese in cui una persona gentile, verace e riflessiva se ne va nella quasi indifferenza, mentre si celebrano i funerali di Stato di chi quello Stato ha contribuito a degradarlo e ricoprirlo di ignominia.
Se il valore e la condizione di una nazione si possono valutare anche dal suo modo di celebrare i defunti – come ci ha insegnato Ugo Foscolo – allora credo che queste due morti avvenute nello stesso giorno, ma celebrate in maniera del tutto diversa, la dicano molto lunga su come è messa l’Italia.