Lugete Veneres Cupidinesque / et quantest hominum venustiorum.

Le prime reazioni alla dipartita di Silvio Berlusconi richiamano lo smaccato sentimentalismo fasullo e di maniera del compianto di Catullo per la morte del passero di Lesbia. Per cui il liberista schierato sistematicamente dalla parte degli abbienti Carlo Calenda, esprimendo il cordoglio di prammatica alla famiglia, elogia “l’incredibile coraggio” del sire di Arcore. Più prolisso (e – come sempre – non disinteressato) l’ex partner calendiano Matteo Renzi, che guata quanto succede continuando a brigare per l’eredità politica del defunto: “Silvio Berlusconi ha fatto la storia in questo Paese. Tanti lo hanno amato, tanti lo hanno odiato: tutti oggi devono riconoscere che il suo impatto sulla vita politica ma anche economica, sportiva, televisiva è stato senza precedenti. Oggi l’Italia piange insieme alla famiglia, ai suoi cari, alle sue aziende, al suo partito. A tutti quelli che gli hanno voluto bene il mio abbraccio più affettuoso e più sincero. In queste ore porto con me i ricordi dei nostri incontri, dei tanti consigli, dei nostri accordi, dei nostri scontri. Ma soprattutto di una telefonata in cui Silvio, non il Presidente, mi ha fatto scendere una lacrima parlando della mamma. Ci mancherai Pres, che la terra ti sia lieve”. Commovente e soprattutto sincero.

Cui si accoda Romano Prodi, commemorandone la statura di “grande europeista”, mentre – a ruota – Elly Schlein evoca buonisticamente il rispetto umano; per colui che la destrorsa ex comunista Raffaella Paita eleva a “grande uomo politico, grande imprenditore. Un uomo che ha cambiato la storia di questo Paese”. E ovviamente si danno per scontate e acquisite le lamentazioni laudative d’ufficio delle prefiche al servizio del tycoon, pagate con più che cospicui benefici materiali e carriere politiche altrimenti impensabili. In privato detestandone la tracotanza padronale.

Coro sommamente insincero, proprio perché chi se ne è andato non è mai stato un innocuo uccellino, bensì il grande pregiudicato che ha impresso il marchio della sua protervia su larga parte della Seconda Repubblica. Il riccone dalle fortune di origine largamente misteriosa che si è comprato l’intero Paese (anche perché chi avrebbe dovuto tutelarne la proprietà democratica vi aveva immediatamente esposto il cartellino del prezzo). Ad altri ricostruire le contiguità al mondo malavitoso del personaggio. Quanto qui preme ricordare è la piaggeria di larga parte dell’establishment nazionale (tanto a destra che a sinistra), ben lieto di praticare – chiamiamoli – “scambi” (in Bicamerale, nevvero Massimo D’Alema?). Magari di finire sul suo libro paga. Tipo i miglioristi milanesi, beneficiati con ampi finanziamenti del Biscione per il monopolio della raccolta pubblicitaria nelle televisioni dell’Urss.

Sicché oggi è vasta la platea che resta “percossa e attonita”, pronta a bollare di “codardo oltraggio” (vulgo sciacallaggio?) chi mantiene il senso critico che lo distinse dal “servo encomio” di questuanti e cortigiani al seguito dell’ex Cavaliere. I loro buoni sentimenti ipocriti per occultare mastodontici servilismi pluridecennali. Le umiliazioni subite col sorriso, dovendo accreditare con un voto parlamentare la tesi risibile di Ruby Rubacuori nipote di Mubarak. Non è vero, Giorgia Meloni e soci? La nostra premier che oggi ritrova la postura a stuoino proclamando la giornata di lutto nazionale per Silvio Berlusconi, niente meno che un pregiudicato.

Del resto, come è possibile accantonare in articulo mortis il contributo catastrofico di quell’uomo al crollo etico della nostra democrazia, realizzato per via giudiziaria e comunicativa oltre che affaristica? Lo sdoganamento non solo dei fascisti e dei secessionisti per disegni personali di potere, ma anche di una tipologia che divenne la quintessenza dell’apprezzabilità sociale a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso: l’arricchito non si sa bene come e l’evasore si sa bene perché. La riduzione della politica a barzelletta con cui depistare il popolo bue e farsi gli affaracci propri. Con la prospettiva di trascinare l’intero Paese verso la catastrofe, da cui fummo salvati per l’intervento degli establishment internazionali, che dissero basta alle sue mattane. E subito i suoi mazzieri della carta stampata e dei media strillarono al colpo di stato. Ancora ora Alessandro Sallusti, sbarellando nei talk di tutte le reti, si spende per il suo non disinteressato benefattore definendolo “un colosso della scena internazionale”. Quello che faceva sbellicare dalle risa due cinici patentati come Merkel e Sarkozy.

Dunque un cordoglio che stride con la decenza, davanti a siffatta biografia. Che mai sarebbe avallato dagli antichi greci fondatori di democrazia. Come il poeta Alceo, che cantava “il ferro per uccidere i tiranni / il vino per festeggiarne i funerali”.

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