Con tutti i suoi limiti, con tutti i suoi difetti, Silvio Berlusconi è stato – e forse era ancora – l’italiano più mondialmente noto nell’arco degli ultimi trent’anni: tra ascese al potere fulminee e cadute rovinose, ritorni al vertice e uscite di scena mai definitive, successi imprenditoriali e sportivi e smacchi giudiziari e socio-familiari, era nelle cronache non con picchi episodici, ma in modo costante.
In viaggio all’estero, cambiava il nome del calciatore italiano sulle magliette azzurre dei ragazzini sui campetti di gioco – Baggio, Del Piero, Chiellini – ma l’allusione a Berlusconi c’era sempre, negli incontri con i colleghi e nelle cene con gli amici; accompagnata dal sorrisetto universalmente condiviso che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy – da quale pulpito, poi – riservarono al premier già in caduta libera nell’ottobre 2011.
La discesa in campo e l’ascesa al potere – in pochi mesi, tra il 1993 e il 1994 – di Silvio Berlusconi furono la prima volta in cui gli interlocutori internazionali dell’Italia ebbero la sensazione che, dopo Mani Pulite, qualcosa potesse cambiare nel nostro Paese; che la Seconda Repubblica di cui allora si parlava potesse coincidere con un rinnovamento e ammodernamento dello Stato in senso liberista, verso maggiore efficienza e minore clientelismo. Non fu così: trent’anni di presenza di Berlusconi al cuore, e talora al vertice, della politica italiana sono stati progressivamente intrisi di scelte, episodi, aneddoti che hanno contraddetto quelle attese (a ben vedere, mai giustificate dal passato del personaggio, dalle sue posizioni, dalle sue alleanze).
Man mano che le scelte e i criteri di gestione del potere della Seconda Repubblica (o della Terza, per chi ci crede) si rivelavano sempre più simili a quelli della Prima Repubblica, però praticate da leader con minore senso dello Stato, la figura di Berlusconi diveniva all’estero un vulnus all’immagine e alla credibilità dell’Italia.
La sua uscita di scena nel 2011, che poteva apparire definitiva – la perdita del potere, le condanne, la decadenza da senatore e la privazione del titolo di Cavaliere – ha aperto un decennio in cui Ue e Usa si sono più volte illuse – o magari preoccupate – che qualcosa in Italia stesse per cambiare. A parte le parentesi di guide tecniche assennate e competenti, Mario Monti prima, Mario Draghi poi, ma azzoppate dal sostegno sleale di coalizioni caravanserraglio, le stagioni di Matteo Renzi, dell’ondata grillina, della ‘Super-Lega’ 2019 sono state fiammate senza sostanza; col risultato che l’attuale fase “a tutta Giorgia” è seguita più con diffidenza che con fiducia, anche se di questi tempi l’atlantismo ‘blindato’, di cui Berlusconi era un alfiere, è materia pregiata e fa chiudere un occhio sull’incerto europeismo a materie alterne degli altri leader dell’attuale coalizione.
Dell’atlantismo, Berlusconi offrì l’acme dell’interpretazione al Vertice di Pratica di Mare del 2002, quando favorì l’avvicinamento tra la Nato e la Russia e suggellò la stretta di mano tra George W. Bush e Vladimir Putin: un momento che sempre ricordava con orgoglio. Salvo poi andare oltre l’apertura di credito di Bush a Putin e stabilire con il leader russo un rapporto personale, forse il più stretto di un leader occidentale: Putin ora piange “la perdita irreparabile” di “un vero amico” e ne elogia “il contributo inestimabile alla partnership russo-italiana”.
La capacità di persistere nell’attualità, tra successi e smacchi, ha molto contribuito alla popolarità nel senso di riconoscibilità del personaggio Berlusconi, che si manteneva e si rafforzava: i conflitti d’interesse e il bunga-bunga; il dissesto finanziario del Paese e la condanna ai servizi sociali, i colpi di scena – l’avviso di garanzia nel 1994, mentre a Napoli faceva da padrone di casa a un G7; gaffe e goliardate: tutto ciò contribuiva a perpetuare l’immagine di una singolarità italiana, vista magari con imbarazzo o con sufficienza, ma – va detto – senza acrimonia.
E ancora le corna alla foto ricordo d’una riunione dei ministri degli Esteri dei 27, quando da premier esercitava l’interim del ruolo; il gioco del cucù su una piazza di Trieste alle spese di una incredula e sconcertata Angela Merkel, cui sarebbero poi toccati epiteti inqualificabili; le barzellette e l’improbabile inglese del primo incontro con George W. Bush a Camp David; lo sguardo un po’ indulgente sulla scollatura di Michelle Obama a un G20 a Pittsburgh.
In Europa, negli Usa, tutti si scandalizzavano, ma in fondo ne sorridevano: fin quando non toccasse loro. Ma il segno di Berlusconi all’estero si può leggere anche in una figura come Donald Trump, che ha fatto il suo stesso percorso da imprenditore a leader politico, ma con meno senso dello Stato e con maggiore inclinazione alla menzogna. E il fatto che, negli ultimi tempi, in coincidenza con l’attuale governo, Berlusconi e il suo partito figurassero come garanzia di ancoraggio europeo mostra più i limiti dell’europeismo opportunistico delle altre forze della coalizione di destra al potere che la solidità di Forza Italia, la cui friabilità rischia di essere evidente nelle prossime ore.
Sul mio smartphone, la notizia della sua morte è arrivata in rapida successione e con parole analoghe da tutti i maggiori media internazionali, nell’arco di pochi muniti. Politico.eu: “Silvio Berlusconi è morto all’età di 86 anni… Il folcloristico ex premier italiano è deceduto dopo essere stato ricoverato in un ospedale di Milano…”. AP: “L’ex premier italiano e magnate dei media Silvio Berlusconi è morto… Il superbo miliardario che è stato il premier italiano più a lungo al potere nonostante gli scandali delle feste a base di sesso e le accuse di corruzione, era stato ricoverato in ospedale venerdì per la seconda volta in pochi mesi per una leucemia cronica”. New York Times: “E’ stato il premier italiano più polarizzante e più perseguito in giustizia…”. Washington Post: “Ha dominato e diviso il Paese per decenni, con un mix di spietata applicazione di potere politico e finanziario, charme da showman e retorica magniloquenza, Berlusconi ha monopolizzato i media e catturato l’immaginazione di amici e avversari per oltre tre decenni. L’ossessione per la salvaguardia di se stesso, contro nemici reali, immaginari e costruiti, spesso prevalse sugli affari di Stato e, sotto la sua distratta vigilanza, l’Italia scivolò nel malessere sociale e nel disastro economico”.
Giudizi che, nell’essenzialità giornalistica, hanno poco di positivo, ma che riconoscono tutti l’incidenza e la persistenza del personaggio. Come scrive in un tweet Riccardo Alcaro, ricercatore dello IAI, “Pochi uomini politici, e forse nessuno, hanno avuto un così grande impatto sull’Italia quanto ne ha avuto lui. Purtroppo, tale impatto sulla politica italiana è stato più negativo che positivo”. Aggiungeremmo: anche sull’economia e sui costumi.
Fra le eredità che Berlusconi lascia, c’è anche quella di una informazione più polarizzata e complessivamente meno attenta alla verità, più preoccupata di non irritare il potere che di nutrire l’opinione pubblica. Lo dimostra anche la gestione dell’informazione nelle ultime 48 ore, quando l’ennesimo ricovero al San Raffaele degli ultimi tempi è stato contrabbandato come di routine e programmato, nonostante l’indicazione fosse palesemente contraddittoria con l’annullamento d’impegni confermati fino al giorno prima. Rispetto umano? Speriamo sia quello: avremo imparato la lezione dell’agonia in diretta televisiva ‘minuto per minuto’ di Giovanni Paolo II.