È morto Silvio Berlusconi. Ed è subito cominciato il processo di beatificazione. A reti praticamente unificate.

Non una parola di critica. Non su Mediaset, ovviamente. Ma nemmeno sulla Rai a dire il vero. Non dal mondo delle imprese, né dai politici. E se da quelli della destra e dell’ultradestra di governo è comprensibile – in fondo sono tutte e tutti figli di Berlusconi, prima che Fratelli d’Italia – meno comprensibile è che dall’opposizione il massimo che si riesca a balbettare è “non gli sono mai mancati il coraggio, la passione, la tenacia” (Giuseppe Conte).

All’estero, molti dei principali media (Der Spiegel, BBC tra gli altri) ne ricordano almeno gli “scandali” e su questa scia si inseriscono anche molti dei pochi che osano avanzare qualche critica qui in Italia, oggi come mai provincia di Arcore.

Dopo lunghe premesse in cui si deve necessariamente esprimere il proprio cordoglio e fare in qualche modo professione di “deferenza” verso “un eroe” (Tajani dixit), “un grande italiano” – come l’ha definito il Tg5 – si parla di “Ruby rubacuori”, del “bunga bunga” e dei processi in cui è stato imputato nell’arco di questi decenni. Per l’appunto, degli “scandali”.

Se c’è un tratto comune di queste critiche è la prevalenza del dato etico-morale: Berlusconi è colui che ci faceva e ci fa vergognare di essere italiani. È il nome dinanzi al quale si abbassano gli occhi, pieni di vergogna, quando viene fuori in qualche conversazione all’estero. Per buona parte dell’opposizione, Berlusconi è stato soprattutto questo: una macchietta, l’uomo delle barzellette, della bandana e dei duetti con Apicella.

Berlusconi per certa “sinistra da salotto” era l’uomo che faceva perdere credibilità internazionale all’Italia per le corna in foto al Vertice Ue, per il “culona inchiavabile” all’indirizzo della Prima Ministra tedesca Angela Merkel e non perché prono dinanzi ai desideri di Washington, come dimostrano i cablogrammi svelati da Wikileaks in cui il governo Berlusconi viene elogiato dagli Usa perché, malgrado il popolo italiano sia contrario alla guerra in Iraq – correva l’anno 2003, l’ha portata a uno status di quasi belligeranza e messo in campo mosse per la movimentazione delle armi sul suolo italiano, evitando lo sguardo e le proteste dei movimenti pacifisti.

Certa sinistra da salotto si è concentrata assai più sulle forme che sulla sostanza.
Perché, in fondo, Berlusconi era il miglior nemico in cui poteva sperare. Perché permetteva a tanti di cullarsi in una pretesa superiorità morale e culturale. In fondo, Berlusconi poteva anche vincere alle elezioni, diventare Presidente del Consiglio, ma per loro rimaneva pur sempre un parvenu. Un rozzo. Un ignorante.
Da una parte i libri e la cultura “alta”; dall’altra l’uomo delle tv e del Bagaglino.

Senza però riuscire a comprendere che, in realtà, Berlusconi aveva capito quel che loro ancora non avevano (hanno?) capito: i media sono diventati la principale istituzione di produzione ideologica e di senso comune. E tra i media il ruolo principe è della tv. Berlusconi ne aveva ben tre, di portata nazionale. Attraverso le sue reti è riuscito a costruire una cultura che è stata la premessa necessaria ai suoi successi politici.

Berlusconi è arrivato sull’onda di un neoliberismo trionfante, nel momento in cui la “fine della storia” sembrava davvero una realtà a portata di mano. Il crollo della Prima Repubblica gli ha permesso di solleticare antichi istinti, di ergersi a simbolo dell’“Andate e arricchitevi!”, di essere incarnazione del sogno dell’“imprenditore di sé stesso”.
Intorno a questa nuova antropologia si sono riunite ampie fette di popolazione, anche nei settori popolari. E non perché un popolo ignorante si identificava con un leader ignorante – concezione iper-classista della sinistra da salotto, ma perché probabilmente Berlusconi ha fatto intravedere una prospettiva di successo individuale laddove gli altri risultavano del tutto inadeguati a comprendere frustrazioni e aspirazioni popolari.

Se abbiamo avuto Berlusconi per 30 anni, insomma, è anche per responsabilità di una “sinistra” che incapace è dir poco.
Anche quando comincia ad affrontare la sostanza delle politiche berlusconiane – i legami con la mafia, il favore verso l’evasione fiscale (“mi sento moralmente autorizzato a evadere per quanto posso questa richiesta – cioè le tasse – dello Stato”, degno padre del “pizzo di Stato” di meloniana fattura), i condoni, le riforme contro lavoratori e lavoratrici (Legge Biagi in primis), l’attacco all’istruzione pubblica (Moratti + Gelmini) – lo fa assumendo una postura di carattere moralistico.

Sbagliato vs. Giusto. Senza comprendere che quelle politiche, quelle scelte discorsive, non erano gaffe, ma l’espressione, a volte assai ardita, degli interessi di un blocco di potere che si era coagulato intorno a Berlusconi e al suo partito-azienda: la destra, i fascisti, i mafiosi, pezzi di Chiesa, i padroncini, i palazzinari e gli speculatori, gli evasori.

Un blocco di potere che non si è dissolto e che non sparirà con la morte di Berlusconi. Perché già da qualche tempo il berlusconismo è stato la fucina in cui si è forgiata l’ultradestra. Quella oggi al governo. Per combatterla bisogna innanzitutto buttare a mare gli strumenti fallimentari della sinistra da salotto. Non sono serviti per sconfiggere il berlusconismo, non serviranno per sconfiggere i suoi eredi.

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