E’ morto il Re! Viva il Re! Mi sono forse risvegliata in una monarchia, il 12 giugno 2023? A poche ore dalla morte di Silvio Berlusconi, dichiarazioni di politici e giornalisti esibiscono un valzer di commenti più vicini al panegirico e all’agiografia che all’analisi storica e politica. In una sorta di beatificazione che non viene concessa nemmeno ad un Papa quando muore, assistiamo ad un tripudio di omaggi. Il governo ieri ha decretato una giornata di lutto nazionale e le bandiere a mezz’asta negli edifici pubblici. Non solo, è notizia di ieri che la Camera e il Senato resteranno chiuse in segno di lutto per sette giorni.

Quanto Berlusconi abbia inciso nell’immaginario collettivo e nella cultura e nella società italiana è un argomento di discussione da anni. Eppure ora che è mancato, viene giudicato inopportuno valutarne l’eredità che persino nel diritto di successione viene garantito ai discendenti, quando i debiti superano il patrimonio. Che cosa ci ha lasciato di valore Silvio Berlusconi? Non tutti vogliono piegare la realtà al culto della personalità.

La realtà non può essere cambiata dimenticando di quando varò o cercò di varare le sue leggi ad personam, e di come fece uso personale delle istituzioni. Eppure confondendo pietas e ipocrisia, rispetto del lutto di famigliari e di amici con la realtà storica, ci si scaglia contro qualunque analisi critica. Tutto questo è davvero sconcertante.

Nella carrellata dei programmi di attualità, ascoltando giornalisti che pur lo hanno criticato quando era in vita, ho avvertito una edulcorazione nei giudizi e mi sono chiesta se questo sentimento fosse legato all’angoscia della morte dell’altro, che ci ricorda la nostra stessa morte, o se fosse condizionato dalla forza della fascinazione del potere.

Un potere che Berlusconi esercitò senza senso del limite, sfacciatamente e in spregio anche delle istituzioni che rappresentava. Antonella Veltri, presidente della rete dei Centri antiviolenza, ovvero di quei luoghi che hanno misurato la ricaduta di politiche familistiche e conservatrici sull’aumento delle disparità tra uomini e donne, ha dichiarato: “Spiace sempre quando si spegne una vita. La sua vita pubblica è stata segnata da interessi privati, la sua carriera politica affollata da corruzione e scandali, accuse di cattiva condotta sessuale, indagato per prostituzione minorile. Ha battezzato e alimentato la diffusione di massa di una cultura individualista e conservatrice, propria del patriarcato rafforzando ruoli e stereotipi di genere. Non è stato semplice essere donna al tempo di Berlusconi”.

Non rinunciamo a ragionare su questa eredità e sulla propaganda che, a partire dagli anni 90, ha accompagnato la lenta erosione dei diritti di tutti e in particolare delle donne: il riconoscimento del lavoro di cura, i diritti delle donne e delle madri lavoratrici, la parità di remunerazione e il diritto all’applicazione della legge 194. Solo per citarne alcune. Quella propaganda propalata per anni dalle tv berlusconiane si giocava sul depotenziamento delle donne e l’umiliazione dei loro corpi.

Scrive Monica Lanfranco: “Con la televisione, che negli anni ’80 del secolo scorso il Partito comunista italiano non aveva compreso sarebbe stata la chiave di volta per ottenere l’assoluto potere, l’imprenditore entrò in ogni stanza, nell’intimità e nel subconscio del nostro paese e, quasi incontrastato, dettò le regole mercantili delle relazioni tra donne e uomini per almeno due generazioni, come plasticamente descritto in mezz’ora dal video di Lorella Zanardo Il corpo delle donne“.

Tutto questo ha inciso profondamente sulla società italiana: quanto abbia rallentato e ostacolato lo smantellamento di pregiudizi e delle discriminazioni contro le donne lo capiremo solo col tempo. Il linguaggio triviale, l’immaginario che ha oggettivizzato i corpi femminili, hanno sdoganato e poi contaminato tutto: dai media, alla pubblicità, alle battute sessiste dei politici. Non perché Berlusconi fu responsabile di tutto il male del mondo, ma perchè col suo esempio diede il segnale che comportamenti e linguaggi lesivi delle libertà e della dignità delle donne erano diventati legittimi. Battute su cui “farsi una risata”.

In un contesto come questo la dichiarazione di Rosy Bindi, apostrofata nel 2009 a Porta a Porta da Silvio Berlusconi come “Più bella che intelligente”, è una ventata di ossigeno: “Il lutto nazionale è inopportuno per un uomo politico che è stato così divisivo”. Dichiarazione letta con non poco imbarazzo dalla conduttrice Tiziana Panella, durante la trasmissione Tagadà, e seguita immediatamente dall’invito a ripensarci dai giornalisti presenti in studio. E’ morto il Re! Viva il Re!

@nadiesdaa

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