Abuso d’ufficio cancellato, traffico d’influenze ridotto ai minimi termini, limiti alla pubblicazione delle intercettazioni (e alla possibilità di citarle negli atti), inappellabilità delle sentenze di proscioglimento per una serie di reati. E soprattutto un depotenziamento delle misure cautelari a tutto vantaggio dei colletti bianchi. Ecco la “(contro)riforma Berlusconi” della giustizia penale, il pacchetto di norme “garantiste” presentato – dopo mesi di annunci – dal Guardasigilli Carlo Nordio e dedicato dal governo al fondatore di Forza Italia appena scomparso. Come da anticipazioni, la bozza del disegno di legge in otto articoli è arrivata sul tavolo del pre-Consiglio dei ministri, la riunione tecnica di mercoledì mattina che ha anticipato il Cdm, in programma giovedì alle 18. Su RaiNews24 il viceministro azzurro di via Arenula, Francesco Paolo Sisto, ex avvocato di Berlusconi, dice che la riforma “è stata studiata e calibrata nel tempo, con la diretta partecipazione” dell’uomo di Arcore, che “ha subito tanto, troppo, a causa della giustizia” (sic).
Misure cautelari – Il testo prevede che quando il pm chiede la custodia cautelare in carcere (ma non le misure più lievi) a decidere sarà l’ufficio del giudice per le indagini preliminari in un’inedita “composizione collegiale“, cioè con tre magistrati invece di uno solo. La novità però non entrerà in vigore subito – perché avrebbe messo in crisi l’organico già carente – ma soltanto tra due anni. Prima di disporre qualsiasi misura, soprattutto, servirà procedere all’interrogatorio dell’indagato, notificandogli l’invito “almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni d’urgenza, il giudice ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire”. La previsione non vale se sussistono le esigenze cautelari del pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, o anche quella di reiterazione dei reati più gravi (mafia, terrorismo, violenze sessuali, stalking) o “commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”. In sostanza, quindi, la nuova garanzia vale quasi solo per i reati dei colletti bianchi: per arrestare un presunto corrotto o tangentista (che magari nemmeno sapeva di essere indagato) bisognerà “avvertirlo” con un anticipo di almeno cinque giorni, con i rischi che si possono immaginare. Nella relazione al ddl, Nordio giustifica la scelta così: “Da un lato si evita l’effetto dirompente sulla vita delle persone di un intervento cautelare adottato senza possibilità di difesa preventiva, dall’altro si mette il giudice nelle condizioni di poter avere un’interlocuzione, e anche un contatto diretto, con l’indagato prima dell’adozione della misura”.
Abuso d’ufficio – L’articolo 323 del codice penale è “abrogato” tout court: non sarà più punibile il pubblico ufficiale che, violando la legge, “intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. Se il testo diventerà legge, l’Italia diventerà l’unico Paese del mondo sviluppato in cui questa condotta non costituisce reato. Una vittoria di Nordio e dei berlusconiani, che hanno insistito sulla cancellazione per tutelare – a loro dire – gli amministratori locali dalla famigerata “paura della firma“. Lega e Fratelli d’Italia, invece, avrebbero preferito un ulteriore ridimensionamento della fattispecie, che dopo la riforma del 2020 si applica già in casi limitatissimi. Il governo ha scelto di ignorare gli avvertimenti degli addetti ai lavori, che – ascoltati in audizione sulle proposte di legge depositate sullo stesso tema alla Camera – avevano avvertito come l’eliminazione dell’abuso d’ufficio ci avrebbe posto in contrasto con gli impegni internazionali sottoscritti con l’Onu e l’Unione europea. E non è un caso che, nella relazione, il ministro lasci la porta aperta a un passo indietro: “Resta ferma la possibilità di valutare in prospettiva futura specifici interventi additivi volti a sanzionare, con formulazioni circoscritte e precise, condotte meritevoli di pena in forza di eventuali indicazioni di matrice euro-unitaria che dovessero sopravvenire”.
Traffico di influenze illecite – L’ambito di applicazione della fattispecie, introdotta nel 2012 dalla legge Severino, viene fortemente limitato: per essere punibile, d’ora in poi, il mediatore dovrà sfruttare “intenzionalmente” le relazioni con il pubblico ufficiale, che inoltre dovranno essere “esistenti” e non più anche solo “asserite“, cioè millantate. Viene dunque depenalizzata la condotta prevista dal vecchio reato di “millantato credito“, punito con la reclusione da uno a cinque anni e assorbito nel traffico di influenze con la legge Spazzacorrotti. L’utilità data o promessa, poi, dovrà essere “economica“: non basterà più uno scambio di favori non monetizzabile. Infine, e soprattutto, la condotta sarà punibile solo se il versamento avrà lo scopo di “remunerare” il pubblico ufficiale “in relazione all’esercizio delle sue funzioni, ovvero per realizzare un’altra mediazione illecita”: finora, invece, bastava che l’utilità costituisse il “prezzo” della mediazione, cioè la ricompensa per il mediatore, anche senza essere diretta al destinatario finale. In conseguenza di queste modifiche restrittive, la pena minima viene leggermente alzata: si passa da un anno a un anno e sei mesi. La pena massima invece resta di quattro anni e sei mesi.
Intercettazioni e avviso di garanzia – Il divieto di pubblicazione anche parziale, attualmente previsto solo per i nastri non acquisiti al procedimento, si estende a qualsiasi dialogo che non sia stato “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”. Non potranno più essere pubblicate, quindi, nemmeno le conversazioni citate nelle richieste di misure cautelari del pubblico ministero. Proprio nelle richieste del pm non potranno più essere citati “i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione”. I nastri “che riguardano soggetti diversi dalle parti“, qualunque cosa voglia dire, non potranno più essere acquisiti dal giudice nell’udienza stralcio, “sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza”. Diventa vietata anche la pubblicazione dell’avviso di garanzia, che dovrà contenere una “descrizione sommaria del fatto”, oggi non prevista. Su questi contenuti ha espresso “preoccupazione” il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti: “I limiti che si vogliono introdurre alla conoscibilità delle intercettazioni effettuate durante le indagini preliminari rischiano di costituire un ostacolo al diritto dei cittadini di essere informati su eventi di rilevante interesse pubblico”, si legge in una nota.
Divieto di impugnazione – Il ddl vieta al pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento (assoluzione, non luogo a procedere, non doversi procedere) per i reati per cui è prevista la citazione diretta a giudizio (senza l’udienza preliminare): si tratta di tutte le fattispecie punite con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, ma non solo. Nell’elenco sono comprese ad esempio anche la falsa testimonianza, la violenza o minaccia a pubblico ufficiale, la ricettazione o la truffa, che nelle ipotesi aggravate prevedono pene più alte. Su questa norma potrebbe avere qualcosa da dire la Corte costituzionale: l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte dell’accusa (in quel caso per tutti i reati) era infatti già prevista dalla legge Pecorella del 2006, approvata sotto il terzo governo Berlusconi e dichiarata illegittima dalla Consulta per violazione del principio di eguaglianza tra le parti del processo.
L’Anm: “Modifiche non vanno nella direzione giusta” – La bozza “non ha ambizioni importanti, sistematiche, ma contiene modifiche che, a mio giudizio, non vanno nella direzione giusta“, dice all’Ansa il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia. Tra le maggiori “criticità” Santalucia cita “l’eliminazione dell’abuso d’ufficio, il giudice collegiale per la custodia cautelare in carcere e la limitazione dei poteri di appello del pm contro le sentenza di proscioglimento”. Mentre la “limitazione alla pubblicazione di alcune conversazioni crea un’ulteriore tensione tra il diritto dell’informazione e i diritti dell’imputato”, avverte. “L’eliminazione dell’abuso d’ufficio crea un vuoto di tutela che non riesco a spiegarmi. Che poi i processi siano pochi non vuol dire che i reati non ci siano. Sul giudice collegiale vedo un’insostenibilità organizzativa soprattutto negli uffici di piccole dimensioni”, nota il magistrato (va ricordato che il giudice che decide sull’applicazione di una misura cautelare diventa incompatibile su tutto il prosieguo del procedimento). Il divieto di appello per il pm è invece “una limitazione unilaterale del potere della parte pubblica, non bilanciata, come la Corte costituzionale ha detto sia necessario, da una concorrente limitazione del potere di impugnazione delle parti private”, con un'”alterazione dell’equilibrio significativa”, nota il presidente dell’Associazione.