L’introduzione di un sistema di deposito cauzionale in Italia porterebbe a livelli più alti di raccolta, riciclo e contenuto riciclato dei contenitori per bevande, facendo persino superare i nuovi target. A fronte di un costo annuo lordo di quasi 642 milioni di euro, si ridurrebbero di quasi 4 miliardi di euro i costi per i rifiuti dispersi nell’ambiente, risparmiando l’emissione di oltre 600mila tonnellate di CO2 equivalente all’anno. Sono alcuni dei risultati dello studio ‘Sistema di deposito cauzionale: quali vantaggi per l’Italia ed il riciclo’, che analizza i possibili impatti dovuti all’introduzione di un Sistema di Deposito Cauzionale (DRS) per gli imballaggi monouso per bevande (plastica, alluminio e vetro) in Italia. Funziona così: i consumatori pagano un deposito al momento dell’acquisto del prodotto e questo viene loro rimborsato quando restituiscono l’imballaggio vuoto. Il dossier è stato commissionato alla società di consulenza inglese Eunomia dalla campagna nazionale ‘A buon rendere – molto più di un vuoto’, promossa dall’Associazione Comuni Virtuosi e sostenuta, tra gli altri, dalle principali ong che si occupano di ambiente e sostenibilità. “L’Italia ha bisogno di introdurre un DRS per raggiungere gli obiettivi della direttiva Sup (Single Use Plastic) al 2029 per le bottiglie in plastica e alzare il tasso di riciclo di questo materiale, dato che rischia di non raggiungere il target europeo del 50%” spiega Silvia Ricci, coordinatrice con Enzo Favoino della campagna. E aggiunge: “Un DRS potrebbe ridurre di circa 110 milioni di euro all’anno l’importo della plastic tax che versiamo ogni anno all’Europa con la fiscalità generale dello Stato”.
Gli impatti su raccolta e riciclo – La proposta di regolamento europeo imballaggi e rifiuti di imballaggio dispone che entro il 1 gennaio 2029 gli Stati debbano adottare misure per istituire sistemi di deposito cauzionale e restituzione per bottiglie di plastica e contenitori di metallo monouso per bevande. Esonerati i Paesi che hanno già raggiunto il 90% di raccolta. Questi sistemi, di fatto, raggiungono tassi di raccolta superiori al 90% nella maggior parte dei mercati europei in cui operano, con livelli estremamente bassi di contaminazione e perdite ridotte al minimo, durante i processi di selezione e riciclaggio. Un DRS migliorerebbe soprattutto raccolta e riciclo dei contenitori per bevande in plastica: il tasso di raccolta dei contenitori per bevande in PET salirebbe di quasi 22 punti percentuali (dal 73,4% al 95,3%) e quello di riciclo di quasi 33 punti percentuali (dal 61,5% al 94,4%) anche considerando le nuove e più stringenti regole. “Ciò consentirebbe all’Italia di rispettare la Direttiva sulle plastiche monouso – spiega il report – che già aveva previsto tassi di raccolta per il riciclo del 90% entro il 2029 e un contenuto di materiale riciclato nella fabbricazione di nuove bottiglie pari al 25% entro il 2025 (per le sole bottiglie in PET per bevande) e al 30% al 2030 (per tutte le bottiglie in plastica per bevande)”. Per il vetro, invece, la raccolta salirebbe dall’80,6% al 95,8% e il riciclo dal 76,6% al 95,5%. Anche per l’alluminio, che già registra tassi di riciclo delle lattine di poco superiori al 90%, si prevede un aumento dall’89,6% al 96% per la raccolta e dal 90,4% al 96% per il riciclo, oltre ai benefici in termini di riduzione del littering (ovvero l’abbandono di piccoli rifiuti nelle aree pubbliche), comuni a tutti i materiali.
Littering, emissioni e plastic tax – Gli autori, utilizzando stime conservative, ipotizzano che un DRS possa ridurre il littering dell’85% e, quindi, i costi relativi ai rifiuti dispersi di 3.869 milioni di euro all’anno. Sarebbe soprattutto il miglioramento del riciclo dei contenitori di plastica per bevande, poi, a garantire un calo delle emissioni di oltre 600mila tonnellate di CO2 equivalente all’anno e un conseguente risparmio di circa 64,2 milioni di euro. Facendo aumentare la percentuale di imballaggi in plastica riciclati, gli autori prevedono che l’introduzione di un DRS porterà anche alla riduzione del contributo che l’Italia versa all’Ue per la plastic tax, ossia 800 euro per ogni tonnellata di rifiuti di imballaggio in plastica non riciclata. “I tassi di intercettazione e avvio a riciclo attesi – si legge nel dossier – ridurrebbero la plastica non riciclata di circa 135mila tonnellate, con un risparmio netto del contributo italiano di 108 milioni di euro”.
Come verrebbe finanziato – Tre le fonti attraverso le quali verrebbe finanziato un DRS. In primis con i ricavi dalla vendita dei materiali, ossia dei rifiuti di imballaggi per bevande restituiti al DRS, che sarebbero maggiori grazie al miglioramento della qualità del riciclato, soprattutto per quanto riguarda le bottiglie in PET (Polietilene tereftalato). Le altre due fonti di finanziamento sarebbero i depositi non riscossi dai consumatori e i contributi EPR che i produttori devono pagare per ogni contenitore immesso sul mercato, facendosi carico però solo dei costi rimanenti al netto delle altre due fonti di finanziamento. Lo studio di Eunomia stima che il costo annuo lordo dell’introduzione di un DRS in Italia ammonterebbe a 641,8 milioni di euro. Eunomia ha elaborato modelli per tre scenari, a seconda del contributo apportato dalle tre fonti di finanziamento.
Il ruolo dei produttori – Nello ‘scenario standard’, considerato più verosimile, ipotizza un tasso di raccolta del 90% e ricavi unitari da materiali pari al valore medio del 2021 delle aste effettuate dai consorzi: in questo caso, vendita dei materiali e depositi non riscossi fornirebbero rispettivamente 232 milioni di euro (circa il 36% dei costi di gestione) e 328 milioni di euro (circa il 51%). I produttori pagherebbero la differenza, ossia 81,4 milioni di euro (circa il 13% dei costi). Nello scenario ‘tasso di raccolta più elevato’, i produttori pagherebbero circa il 28% dei costi, mentre nello scenario ‘tasso di raccolta più elevato, ricavi da materiale inferiori’, il costo netto per i produttori potrebbe arrivare a quasi 236 milioni di euro (circa il 37%). I contributi EPR per i produttori varierebbero “tra 0,2 e 1,3 centesimi per ogni contenitore per bevande in plastica immesso sul mercato, mentre i contributi per il vetro potrebbero oscillare tra 1,9 e 2,5 centesimi a contenitore”. Il contributo per le lattine in alluminio sarebbero nullo, poiché i prezzi elevati del rottame di alluminio e i depositi non riscossi possono coprire, da soli, il 100% dei costi del sistema. “Con l’implementazione di un DRS – spiega il rapporto – i produttori vedrebbero una riduzione complessiva del contributo ambientale versato al Conai (28,4 milioni di euro all’anno, più di 24 per il vetro e quasi 4 per la plastica) e del contributo di riciclo versato al Coripet (3,3 milioni di euro per i contenitori in plastica).
Il ruolo del Comuni – I Comuni risparmieranno sui costi associati alla raccolta, alla cernita e allo smaltimento dei materiali che entrerebbero nel sistema, sia quelli oggi presenti nella differenziata dei rifiuti di imballaggio, sia quelli reperibili nei rifiuti residui. Si ridurranno i costi di trattamento e smaltimento dei contenitori attualmente raccolti nell’indifferenziata: considerando un costo medio di 122 euro a tonnellata, risparmierebbero circa 30 milioni di euro. Stima che non considera i risparmi derivanti da fasi e processi di pretrattamento del rifiuto indifferenziato. È vero che i Comuni perderanno parte degli attuali introiti ottenuti con il conferimento dei materiali al Conai/Coripet, oggi già trattenuti dal gestore per una quota che arriva fino al 70%. I corrispettivi erogati dai Consorzi (calcolati sulla base dei valori del 2021) si ridurrebbero nel breve periodo di 85,3, 3,7 e 33,2 milioni di euro rispettivamente per plastica, metallo e vetro, con una ulteriore riduzione di 2,4 milioni di euro per gli imballaggi in alluminio venduti direttamente sul mercato. Continueranno ad applicarsi, in ogni caso, le regole europee in materie di responsabilità estesa del produttore, che ha l’obbligo di copertura integrale (o in deroga di almeno l’80%) dei costi efficienti di raccolta, trasporto e cernita dei rifiuti di imballaggio che continueranno ad essere conferiti al servizio pubblico di raccolta. Una garanzia che dovrebbe rendere neutro, sotto il profilo del rapporto tra costi e ricavi “qualunque cambiamento nei flussi di rifiuti intercettati attraverso la raccolta differenziata”, mentre garantirebbe “minori costi di smaltimento e di gestione del littering, oggi pagati integralmente dai comuni”.