Tra i cinecomic e non, era uno dei titoli più attesi dell’anno The Flash. Il ritorno di Michael Keaton nei panni dell’Uomo Pipistrello ha attirato l’attenzione di tutti i burtoniani con un’icona degli anni ’80 pronta a rinnovarsi cimentandosi in un multiverso targato Warner Bros e DC Comics. D’altra parte la thrillerica parentesi da bad-boy nella vita vera del protagonista Ezra Miller aveva allungato addirittura un’ombra sul possibile ritiro del film prima ancora dell’uscita. Quelli che hanno amato il Batman contrapposto a Jack Nicholson e Danny De Vito, da un certo punto di vista riceveranno ben più che un contentino in forma di cameo, ma i problemi di questo The Flash sono essenzialmente di tre tipi. Intanto una linea comica che occhieggia al marveliano Thor Love and Thunder. Stucchevole ed eccessiva la voglia battutara di somigliare a Ritorno al Futuro, anche se poi se ne trova un senso, seppur forzato e poco utile all’economia della storia. Basta sbattere come uova Flash e Marty McFly e la frittata è fatta.

Bella la spensieratezza giovanile, ma si potrebbe comunicarla con leggerezza anche utilizzando meno demenzialità. (Tra l’altro Back to the Future neanche ne aveva di quella specifica comicità). Ad esempio il modo in cui il supereroe in rosso si posiziona, a mo’ di cane da punta, prima di spiccare le sue corse fulminee fa sorridere. Senza parlare di un Barry Allen che riesce a tornare indietro nel tempo a suo piacimento, basta correre, neanche fosse una Delorean o un Forrest Gump a sgambettar su e giù per gli Stati Uniti. C’è poi la narrazione incoerente di certe scene action per le quali, ricordando Nolan e la sua preziosa trilogia sul Cavaliere Oscuro, viene da pensare con amarezza che dal regista inglese non si è imparato proprio nulla. Il riferimento inizia dalla corsa in moto del Batman Ben Affleck e al salvataggio di un intero reparto di ostetricia, con neonati che piovono dal cielo come fiocchi di neve da un palazzo che crolla, e il nostro Flash a prenderli al volo a mo’ di gag. Scelte di scrittura e regia piuttosto discutibili. E sarà meglio tacere su tanti altri dettagli incoerenti proprio intorno a questa sequenza. Preoccupante risulta anche lo spiattellamento di effetti visivi digitali palesemente approssimativi, quasi fieri di somigliare a un videogioco e non a un film, che travolgeranno gli spettatori soprattutto nel delirio finale. Ma s’inizierà proprio con quei neonati, realizzati in computer graphic imaginery, CGI, come tanti ciccio bello volanti. Nessuna verosimiglianza con una ripresa filmica, ma solo bambolotti da videogioco in forma e sostanza. Chissà se sarà metafora del pubblico imbambolato a decretarne il trionfo al box office.

Per fortuna nella seconda parte del nostro Flash si smette di cercare l’umorismo per entrare nel dramma temporale e il Batman di Keaton risolleva un po’ le sorti. La morale tirata fuori dalle peripezie di Barry Allen che cerca a tutti i costi di rincontrare sua madre è “non farsi definire dalla tragedia del passato”. Peccato per Andy Muschietti, regista talentuoso uscito bene con il doppio new horror IT. Le sue immagini avrebbero pure una certa potenza, ma quei tre difetti, insieme a una scrittura a volte addirittura poco riguardosa per gli spettatori appassionati del genere e non, svalutano il suo operato.

Esce al cinema il 15 giugno e farà i suoi bravi milioni, ma tra easter egg, la novità Supergirl di Sasha Calle (è lei quella che esce peggio dalla mediocre computer graphic) e presenze supereroistiche ben conosciute nei passati franchise che sarebbe criminoso anticipare, colpisce nel segno giusto per la durata ben oltre le due ore. Ma soprattutto ci lascia empaticamente algidi di fronte al Flash di Miller, ragazzo che corre insieme al suo disagio. E un po’ anche al nostro nel guardare questo cinecomic così spaccone per quantità di battaglie e cameo, eppure così impalpabile.

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