La piattaforma di food delivery Uber Eats chiude le attività di consegna di cibo in Italia, dove al momento opera in 60 città. Stando all’annuncio ufficiale, la decisione dipende da una crescita “non in linea con le aspettative per garantire un business sostenibile nel lungo periodo“. Il gruppo rivendica di aver lavorato “con migliaia di ristoranti partner che hanno potuto beneficiare dei nostri servizi per ampliare la loro clientela e le loro opportunità di business” e “migliaia di corrieri e delivery partner” che “hanno avuto la possibilità di guadagnare attraverso la nostra app in modo facile e immediato”. Nessun riferimento al fatto che nel 2020 Uber Italy è stata commissariata per caporalato a danno dei rider: dall’inchiesta era emerso che venivano “pagati a cottimo 3 euro a consegna“, “derubati” delle mance e “puniti” se si ribellavano. L’amministrazione giudiziaria è stata revocata nel marzo 2021 alla luce dello “sforzo fatto per eliminare forme di sfruttamento, per tutelare sicurezza e salute dei fattorini e per migliorare il loro trattamento economico”.

Lo scorso aprile, poi, la piattaforma è stata condannata per comportamento antisindacale per non aver voluto svelare alla Cgil quali parametri utilizza il suo algoritmo per organizzare il lavoro e decidere a quali rider affidare i diversi incarichi. Ora – mentre si avvicina il varo di una direttiva europea sulle condizioni di lavoro nella gig economy – arriva la doccia fredda. “Chi lavorava per Uber – prosegue la dirigente sindacale – si ritroverà in grave difficoltà, con la perdita dell’occupazione e del reddito”, commenta la segretaria confederale della Cgil Francesca Re David. “I lavoratori inquadrati come collaboratori occasionali e a partita Iva, che sono la forza lavoro utilizzata per la consegna del cibo, pur perdendo l’attività lavorativa non avranno diritto agli ammortizzatori sociali né ad alcun sostegno pubblico per un’eventuale ricollocazione“.

“Oltre alle procedure riguardanti i dipendenti diretti, che se non ricollocati in altre attività avranno accesso quanto meno al sussidio di disoccupazione, occorre capire – sottolinea Re David – se e in che modo Uber Eats intende ridurre l’impatto di questa decisione improvvisa per l’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori. Non è accettabile lasciare lavoratrici e lavoratori senza alcun reddito a partire dal prossimo mese. Chiameremo in causa anche il Ministero del Lavoro per chiedere di intervenire su Uber e per agire sulle norme vigenti in materia di lavoro tramite piattaforma”.

Anche la Cisl chiede “interventi immediati per tutelare tutti i lavoratori impegnati nelle attività di food delivery”: “All’impegno sindacale per riconoscere agli occupati subordinati cassa integrazione straordinaria e adeguati percorsi di ricollocazione, vanno anche affiancate soluzioni capaci di dare certezze a migliaia di persone inquadrate con rapporto autonomo, che altrimenti rischiano di piombare a reddito zero. Chiediamo ad Assodelivery, al ministero delle Imprese e al dicastero del Lavoro un incontro per valutare tutte le misure utili a garantire sostegno a chi non ha altre forme di protezione, sostenendo in prospettiva il buon governo del settore attraverso le buone relazioni industriali e l’estensione delle tutele contrattuali a tutti i lavoratori”.

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