Psicoterapeuti, scrittori, illustri editorialisti: tutti oggi si scagliano contro i quattro youtuber colpevoli di aver causato la morte di un bambino mercoledì a Roma, sfrecciando a 110 all’ora su una macchina di lusso affittata, per girare video per il loro canale. Anche sui social lo sdegno è collettivo, tantissimi gli insulti e anche minacce, anche direttamente sui profili dei quattro youtuber.
La rabbia è comprensibile, è morto un bambino, una tragedia senza confini. Ma se gli youtuber sono gli esecutori materiali di questo “delitto”, dall’altro non c’è dubbio che colpevoli siamo anche tutti noi adulti. E, ovviamente, le istituzioni.
Perché siamo anche noi? Il motivo è banale eppure vero: abbiamo creato una società intera dove l’unico valore sono i soldi. Abbiamo fatto degli influencer i nuovi “intellettuali”, le figure di riferimento. Vengono invitati come opinionisti, sono protagonisti a Sanremo, scrivono libri. L’intera industria culturale li corteggia. E se c’è pure una differenza tra chi vende vestiti e chi fa sfide demenziali, a me pare che la sostanza sia sempre la stessa: fare più like possibili, usare il web per vendere, vendere, vendere. E fare soldi, tantissimi soldi. Certo, in questo caso ci sono ragazzi che andando a cento all’ora hanno messo in pericolo la vita di altri, tanto che un bambino è morto. Ma c’è da chiedersi, senza togliere in alcun modo la responsabilità personale – sono più che maggiorenni – con quale modelli siano cresciuti.
Il lavoro, quello, “normale”, è sempre più sottopagato. Puoi studiare una vita e vivere con poco più di mille euro al mese. I riferimenti vincenti sono altri: calciatori, attori, imprenditori che hanno avuto successo senza magari prendersi neanche un diploma. Perché allora i nostri ventenni non dovrebbero guardare a loro, se tutta la società li esalta? Se chi studia una vita non solo non viene valorizzato, ma magari è costretto a cambiare paese?
Mi sembra che ci sia un’ipocrisia immensa. E poi ci sono altre responsabilità. A partire da quelle, a mio avviso, di chi amministra Roma. Ieri il sindaco ha mandato un comunicato e chiesto pene esemplari. Certo, non poteva fare diversamente. Ma il bambino morto l’altro ieri è la settantacinquesima vittima a Roma dall’inizio dell’anno. Una strage silenziosa. Decine e decine di famiglie di distrutte e solo dall’inizio di quest’anno, per le quali non c’è stato alcun comunicato. Il motivo? Quasi sempre l’eccesso di velocità, unito all’uso degli smartphone – magari per vedere video – unito a strade dissestate, alle luci spesso carenti, ai pochi controlli su strada.
Non c’è dubbio: l’amministrazione sta lavorando per migliorare le strade e i controlli sono aumentati, soprattutto con gli autovelox. Ma non basta. E infatti quella macchina impazzita ha circolato per ore e ore nel quartiere di Casal Palocco senza che nessuno la fermasse. Non c’era una pattuglia, dunque, in tutto il quartiere. D’altronde, non c’è nessuna pattuglia quasi in nessun quartiere a Roma. La polizia è pochissima, mancano unità, lo sappiamo, ma il risultato è che ogni giorno Roma è abbandonata a se stessa. Le macchine corrono, tante, e moltissimo. E basta andare anche a sessanta-settanta chilometri all’ora, magari dentro un grosso suv, e parlare al telefono, magari anche con l’auricolare. A quella velocità un pedone puoi sempre non vederlo, basta un secondo per uccidere una persona.
La situazione è talmente grave che occorrerebbe dichiarare un vero e proprio stato di emergenza. E, ormai ne sono convinta, obbligare gli automobilisti ad andare a 30 km all’ora all’interno di tutta la città: in questo momento sarebbe l’unica vera soluzione, impopolare, per fermare la strage. Gualtieri lo aveva promesso. Ad oggi ancora la situazione invece è ancora come prima. Perché? Il bollettino continua a scandire: un morto ogni due giorni. Soprattutto persone in scooter, ma anche pedoni e ciclisti.
Sulla mobilità Roma invece che andare avanti torna indietro. Il traffico è aumentato dell’11 per cento nell’ultimo anno, una cifra incredibile, quando si dovrebbe andare verso una riduzione. Le macchine sono sempre di più, i mezzi pubblici ancora troppo pochi, specie in periferia, le poche metro affollate di turisti e soggette a continui guasti, i monopattini e bici che girano totalmente incontrollati, senza casco, aumentando i rischi per sé e per gli altri. In questo quadro gli incidenti sono normali e infatti accadono. E spesso sono mortali.
Il ministro Salvini ha annunciato misure drastiche e severe nel nuovo Codice della strada. Ogni forma di severità è benvenuta, ma purtroppo, come si è visto, l’introduzione dell’omicidio stradale non ha fermato le stragi. Servono invece due cose, se vogliamo prendere spunto da quanto accaduto: creare città sostenibili, anche con misure di emergenza e appunto impopolari, come i trenta chilometri all’ora, oltre a potenziare i mezzi, ca va sans dire. E sul versante delle sfide assurde, non credo sia pensabile l’idea di controllare il web.
Quello che servirebbe è una riflessione sul fatto che siamo noi adulti ad assegnare al denaro il valore più alto. Siamo noi, appunto, che veneriamo chi ne ha di più, e chi li fa senza aver alcun valore come buona parte (non tutti) degli influencer e delle influencer. Direttamente o indirettamente cresciamo i nostri figli veicolando l’idea che chi non ha soldi farà una vita infelice. Il resto lo fanno le multinazionali che hanno reso i nostri figli dipendenti da ciò che vendono, anche e soprattutto grazie agli influencer, a partire da scarpe da ginnastica che costano centinaia di euro, che vengono vendute in edizioni limitate in affollate aste. Una pazzia.
Forse, dunque, sarebbe meglio evitare le ipocrisie. Le responsabilità saranno accertate, le pene assegnate. Ma se tra una settimana tutto sarà dimenticato vuol dire che non abbiamo capito niente. Quello di mercoledì non è un caso di cronaca. È molto di più. È un caso che racconta chi siamo o chi stiamo diventando. E tutti noi adulti dovremmo fare autocritica su questo.