Berlusconi era un individuo comico-storico. Comico, non cosmico: non è un refuso, ma la sintesi hegelo-marxiana di filosofia della storia applicata al tycoon di Arcore. Se il Napoleone che Hegel aveva visto a Jena era l’anima del mondo a cavallo, ovvero un individuo di cui la Storia si serviva per i propri fini, è anche vero che quella Storia – è il Marx del 18 brumaio a scriverlo – si ripete la prima volta in tragedia e la seconda in farsa.

Di Berlusconi la Storia si è servita perché egli, uomo giusto al momento giusto, è riuscito a portare alle estreme conseguenze le premesse di quella tarda democrazia nella quale la politica e il marketing diventavano una cosa sola, il gradimento sostituiva il suffragio, il leader si trasformava in imbonitore commerciale. Alla Storia serviva un Berlusconi, con un surplus di insopprimibile inventiva arci-italiana: l’anima del mondo a cavallo di un palo da lap dance. Non solo il persuasore occulto, signore della pubblicità e dominus delle televisioni, non solo la faccia bonaria che nascondeva il volto feroce della più efferata finanza, non solo l’interprete della sbandierata depoliticizzazione dello Stato attraverso la trasformazione di questo in una sorta di azienda. Ma poi neanche questo: allo spazio pubblico ridotto a un Bagaglino permanente corrispondeva, d’altro canto, l’idea dello Stato non come un’impresa, ma come la caricatura di essa.

Più che l’impresa – che non esiste in quanto impresa-totale, ovvero che si sviluppa in un vuoto, così come non esiste l’uomo che si sviluppa in un vuoto, il self made man che B. si è sempre vantato di essere mentre invece ha potuto prosperare prima grazie alle ‘amicizie’ politiche e poi grazie alla ‘discesa in campo’ – erano in conti della massaia: se spendo tot, devo guadagnare tot. Era solo B. a pensare e a sostenere queste cose? O in esse vi era il condensato ideologico della crisi del welfare, la fine dei Trenta gloriosi, la distruzione dell’idea di spesa pubblica, e poi l’onda lunga del craxismo, e la spregiudicata credenza nell’idea che lo sviluppo dell’impresa avrebbe fatto gocciolare qualcosa anche alle classi meno abbienti?

B. non ha certo innovato, su questi punti. Ha solo capito che se bombardi le persone con idee e immagini, esse introietteranno idee e immagini. Ha solo messo a punto la versione trash, ma anche molto più efficace, dell’egemonia, o meglio ha capito che l’egemonia si sarebbe potuta costruire senza lo sforzo ponderoso del ceto intellettuale, bensì soltanto attraverso la pubblicità. Più Vance Packard, meno Antonio Gramsci. Gli italiani, del resto, non c’è bisogno di convincerli, basta sedurli, persuaderli.

Quello che il berlusconismo ha dimostrato è dunque un dato sconcertante nella sua banalità, e ancora troppo poco compreso, troppo poco tematizzato perfino in queste ore che seguono la sua morte: che la reiterazione è l’anima del marketing, anche di quello politico. E quello che la sinistra, continuamente alla ricerca di chissà quali spiegazioni metafisiche, non ha neanche lontanamente lambito, è che basta dare a un uomo i mezzi di comunicazione di massa e quest’uomo diventerà buono, giusto, saggio, popolare, o anche niente di tutto questo: semplicemente presente, e in quanto presente titolare di un’investitura frutto della presenza stessa, che di per sé è investitura.

Del resto è una cosa che ogni piazzista sa, mentre non lo sanno le teste d’uovo dell’Ufficio Complicazione Cose Semplici (quelle in buona fede, ché quelle in malafede sapevano perfettamente che togliere la presenza avrebbe tolto B.) che sono sempre andate alla ricerca della spiegazione più lambiccata mentre la verità, come la lettera rubata di Edgar Allan Poe, era proprio sotto il loro naso. Lo sapeva Goebbels e lo sapeva B. (e lo sapeva anche il monoscopio campione di ascolti): ripetere (qualsiasi cosa, non conta se vera o falsa) ed essere presenti sono l’essenza della comunicazione. Presenza e ripetizione, o – nel mondo dell’homo videns – ripetizione della presenza. Stava davvero sotto gli occhi di tutti: “l’ha detto la televisione”.

L’eredità di B. è tutta qui, nella consapevolezza che chi è presente, governa. E gli assenti hanno sempre torto. B. era assente da tempo. Ed è per questo che le televisioni e i giornali tutti hanno sentito così forte l’ansia di doverlo ricordare mettendo in piedi una grottesca giostra di panegiristi (che altri non erano se non i suoi stipendiati e famuli): perché nelle piazze semivuote risuonava già un “B. chi?”. Del resto, chi di presenza ferisce, di assenza perisce.

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